Le apparenze non ingannano. Arrivo a Lima.

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Viaggio in Perù – capitolo 1

“Taxi”?

“Taxi”?

L’arrivo a Lima è a dir poco traumatico.

Abbiamo appena messo mezzo piede fuori dall’aeroporto e già decine di persone ci avvicinano  proponendoci di salire a bordo della loro vettura.

Sennonché  io, che di storie di tassisti che sequestrano i turisti ne ho lette fin troppe, non ho affatto l’intenzione di scegliere a caso e, colto dall’impreparazione, finisco pure per discuterne accesamente con Lalli.

Sull’aereo da Miami avevamo conosciuto un bel personaggio letterario.

Uno yankee sui settant’anni che se ne stava seduto tutto concentrato ad aggiungere, con la massima delicatezza, note a margine di un librone  già traboccante di glosse che dava l’idea di essere già stato vissuto con passione.20150905_085408

Nel vedere quella scena, non avevo resistito e avevo interrotto il lavoro minuzioso della matita impugnata dal signore per chiedergli che stesse facendo con quello che, per la rilegatura, dava la idea di essere un antico scritto contenente un codice e una mappa del tesoro.

Nella mia testa mi ero già convinto di avere a che fare con un esploratore o un archeologo sulle tracce di un nuovo sito nascosto al centro della selva amazzonica.

Ma questo signore, il cui  nome rimarrà per me sconosciuto per sempre, non era a caccia di oro.

Quel libro non era altro se non la bibbia, ma non una bibbia qualsiasi.

 

Era la bibbia che gli aveva regalato la moglie quarant’anni prima e ora quel signore, che non parla una parola di spagnolo, era sul mio stesso aereo per andare a fare del volontariato in non so quale villaggio del nord del Perù.

Eppure, pur essendo atterrato con questo spirito filantropico, il cielo di Lima non mi sembra per nulla gentile.

Si dice che, quando Francisco Pizarro stesse cercando il luogo adatto per erigere la nuova capitale da sostituire a Cuzco, l’inca che lo accompagnò gli suggerì l’aerea di Lima per vendetta: qui, infatti, non c’è mai né il sole, né la pioggia, ma solo una pioggerellina fina fina di quelle che fanno innervosire e intristire. Da queste parti la chiamano garùa.

E la garùa rende le persone tristi, quindi aggressive.

Per questo motivo, dopo pochi minuti, il nostro mezzo piede lo rimettiamo subito all’interno dell’aeroporto fornendo le nostre generalità al banco di quella che è considerata la più seria (e cara!) compagnia di taxi limena.

Ed è così che veniamo conseguentemente scarrozzati su un furgoncino mezzo scassato assieme ad altri tre turisti americani di chiare origini asiatiche. L’autista, nel dimenarsi in mezzo al caotico traffico del Callao, si dimostra più attento alla partita trasmessa sul monitor che ha installato accanto al cruscotto che alle precedenze. Si gioca, infatti, Usa- Perù e miracolosamente gli ospiti sono in vantaggio. Ad ogni tiro sbilenco, l’autista si galvanizza e sbanda pericolosamente invadendo la corsia di sinistra. Dovremmo andare dritti al nostro albergo, ma il tassista non conosce le strada e alla fine ci lascia  cercare da soli la nostra destinazione finale.

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“Perdone, usted conoce la calle Mariategui?”

L’informazione la chiedo ad un signore nascosto dietro le sbarre di ferro del suo negozio di alimentari.

Vende bibite, riso e carta igienica, ma è più blindato di una banca del vecchio west.

Siamo a Barranco, quello che dovrebbe essere il quartiere più pittoresco di Lima e – con Miraflores – il più sicuro. Invece sembra di essere in una zona di guerra.

Sono le otto di sera, ma in giro non c’è nessuno.

E’, quindi, con un certo malessere che, dopo aver trovato l’albergo, ci dirigiamo verso un bancomat per prelevare i nostri primi soles.

L’operazione è delicata e va fatta con scrupolo: la prima banca di strada è purtroppo da evitare,  perché davanti vi bivaccano delle persone che non ci piacciono. La seconda pure, perché la suggestione fa dei brutti scherzi. Ad essere decisiva è la terza: abbiamo fame e abbiamo bisogno di soldi.

Ebbene, proprio qui, appena inserisco la scheda nella macchinetta, un tizio – che, poco prima, stava davanti ad uno sportello lontano da me  – si sposta improvvisamente al mio lato e finge di iniziare un’altra operazione.

Che vorrà fare?
Sia io che Lalli lo osserviamo guardinghi, ma non succede nulla.

 

Il tizio, accortosi di essere attenzionato, si gira e se ne va via.

Ecco, se ne va ed è proprio arrivato il momento di  non farci scoraggiare del clima per iniziare a godere del viaggio.

Per questo motivo ci dirigiamo subito verso il ristorante che ci ispira di più per provare il nostro primo ceviche, il primo di una lunga serie, per poi passeggiare allegramente lungo la via principale di Barranco, una via costellata da localini e musica a palla.

E’ sabato sera e a Lima c’è movida, la movida di chi nun tiene problemi.

Noi, che non ne abbiamo e non ne vogliamo, ci accodiamo con piacere.

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