Arequipa, la Napoli del Perù

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CAPITOLO 5

Viaggiare di notte ha i suoi pro e i suoi contro.

I pro sono evidenti: si guadagna tempo e si risparmiano i soldi di un alloggio.

I contro, invece, sono tutti riassunti nella circostanza che l’autobus può offrire tutte le comodità del mondo, ma – una volta arrivati a destinazione – ci si sentirà in ogni caso con le ossa rotte.

Il tragitto da Nazca ad Arequipa dura circa 10 ore , 10 ore di deserto, gole e strade scavate nella roccia. E’ un tragitto selvaggio, affascinante, bello, ma a volte anche  noioso.

Insomma concilia il sonno.

Ciò premesso, fortunatamente Arequipa è la capitale di un Perù diverso: più civile, più tranquillo, più sviluppato.IMG_3149

Secondo la leggenda, quando i sudditi del sovrano inca Mayta Càpac si trovarono a passare per questi territori chiedendo di potervi rimanere, quest’ultimo gli rispose “Ari qhipay”,   ovvero “sì, fermatevi qui”. Da qui il nome Arequipa, città che fino a 10 anni viveva esclusivamente di agricoltura e che oggi ha quadruplicato la sua estensione. Vi vivono novecentomila persone e si dice che non si sentano affatto peruviane. Intendiamoci, non sono secessionisti ( peccato!), ma schifano un poco quelli del nord e Lima è vista come un casino da cui tenersi alla larga.

Lalli sostiene che gli arequipeni siano come i napolitani e, in fondo, non ha tutti i torti.

Qui ci sono tradizioni, culture e identità diverse e, oltre al numero degli abitanti, c’è anche un altro elemento comune con Napoli:  una storia legata ai vulcani.IMG_3008

Attorno ad Arequipa, infatti, ce ne sono addirittura tre e sono talmente grandi da far sembrare il Vesuvio un nanerottolo:

c’è il  Chachani con 6075 metri, il Misti con  5.822 metri e il Picchu Picchu con i 5664 metri.

Ecco, su quest’ultimo vorrei tanto porre una domanda: premesso che Picchu in quechua significa montagna, perché chiamare un vulcano “montagna montagna”? Erano finiti i nomi disponibili?

Chi può dirlo!

Arequipa è, in ogni caso, una gran bella città.

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Tanto da essere nota con la denominazione di “ciudad blanca” ( città bianca) per il colore della pietra vulcanica utilizzata per costruire gli edifici storici del centro.

Per questo motivo – anche per via della carnagione più chiara – i peruviani del Nord chiamano con disprezzo “musi bianchi” gli abitanti del luogo.

Insomma, a pensarci bene, di punti in comune con Napoli ce ne sono fin troppi.

Anche sul versante cibo, visto che ci viene consigliano un ristorante in cui mangiamo un ceviche che definire eccezionale è davvero riduttivo.

Il nostro soggiorno ad Arequipa è, tuttavia, condizionato da due presenze.20150909_154037

Infatti se una delle regole auree del viaggiatore moderno è quella di muoversi “like a local”, noi  invece viaggiamo direttamente con i locals.

In particolare con due amici di Lalli che definire simpaticissimi è assolutamente riduttivo.

Il primo si chiama Carlos, vive ormai a Madrid in pianta stabile, ma – quando può – torna in Perù per andare a trovare la sua famiglia. E’ molto critico sulla situazione del suo paese natio e spesso ripete che il popolo andino non ha senso civico, né voglia di cambiare.

Ciò nonostante non riesce a nascondere il suo orgoglio per una realtà che comunque rimane bellissima.

E, invero, quando ci porta in un paesino per godere pienamente della visione dei vulcani che ci circondano, fa di tutto per farci capire più in profondità il senso dell’essere peruviani.

Successivamente, assieme a suo fratello Guido, Carlos  ci fa poi conoscere la versione del locale del mc drive: l’anticucho a domicilio.

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Un posto in cui ci si accosta con la macchina e alcuni camerieri ti portano un vassoio con alcuni pezzi di carne mista, tra cui c’è anche l’anticucho (il cuore della mucca), uno dei piatti tipici della cucina criolla.

Sennonché, dopo aver parcheggiato, due/tre bambini litigano tra di loro per prendere l’ordinazione.

“Scegli me, scegli me”, ripetono facendosi spazio.

Fa un freddo cane, sono le dieci di sera e questi bambini – che non avranno più di dieci anni – si scannano tra di loro per guadagnare pochi soles. Io ancora non riesco ad abituarmici.

Ad ogni modo, dopo questa sosta, incontriamo anche Patricio, l’altro amico di Lalli (e di Carlos), che ci porta in giro a conoscere i locali più cool di Arequipa.

In uno di questi provo anche un cockail a base di coca.

Eppure io, dopo non molto, vado in completo blackout: ho troppo sonno per tirare fino a tardi.

Un po’ mi spiace, ma Patricio – con un senso di ospitalità fuori dal comune – decide comunque di invitarci all’almuerzo del giorno dopo.

Ora  da queste parti l’almuerzo non è come in Spagna, ma è un pranzo vero e proprio, un pranzo tutt’altro che frugale e molto sostanzioso. Ciò significa che, dopo aver mangiato, si fa davvero fatica ad alzarsi da tavola.

Patricio, inoltre, abita in una splendida casa coloniale di fine ‘600 con un patio all’ingresso, in cui venti anni fa il movimento terroristico Sendero Luminoso fece esplodere una bomba uccidendo proprio il padre di Patricio. 

Da allora la madre di Patricio, che è a tavola con noi, ha scelto di impegnarsi in politica per migliorare la situazione del paese e ha fatto studiare suo figlio in Europa.

Né la madre, né il figlio ovviamente profferiscono parola al riguardo,ma Lalli me lo racconta e, mentre me lo racconta, penso che abbiamo mangiato proprio nel patio in cui scoppiò la bomba.

All’interno della predetta abitazione ci sono, inoltre,  alcuni bei quadri d’epoca, tra cui uno raffigurante Isabella de Castilla e un altro Cristoforo Colombo.

Relativamente a quest’ultimo Lalli è convinta che lo scopritore delle americhe sia portoghese e in parte è pure vero, visto che Colombo ha vissuto tra Lisbona e le Madeira buona parte della sua vita, ma non  capisco perché in Spagna neghino che sia nato a Genova, una delle quattro repubbliche marinare assieme ad Amalfi, Pisa e Venezia.

Ciò premesso, dopo pranzo decidiamo che è arrivato il momento di visitare  qualcosa .

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Qui purtroppo nel 2001 c’è stato un gravissimo terremoto e, per questo motivo, molti monumenti sono ancora “impacchettati” da ponteggi.

La plaza de Armas, cuore pulsante di Arequipa, è dominata dalla stupenda facciata della cattedrale, ma purtroppo la stessa all’interno è molto deludente.

Di contro il monastero di Santa Caterina da Siena è una vera e propria città dentro della città piena di colori e di opere d’arte di stile non andino. Sembra, invero, di essere in Andalusia tra le pareti pittate di rosso e di azzurro e, non a caso, all’interno del convento ci sono delle strade dedicate a varie città della Spagna: Malaga, Granada, Siviglia e Toledo. Sennonché  la visita al convento resta memorabile per un altro aspetto: quanto accidenti mangiavano queste monache? Quasi accanto ad ogni cella c’è una cucina, segno che – tutto sommato – la vita qui era più che soddisfacente.

Eppure,  per quanto il convento sia davvero stupendo, non riesco a godermi la visita come dovrei. A casa di Patricio è successo un fatto grave assai: mi è caduta a terra la mia telecamera e ora non risulta utilizzabile. Non mi resta, dunque, che andare a cercare un fotografo che me l’aggiusti.

Mannaggia.

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