Il volo del Condor e il Canyon del Colca

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CAPITOLO 6, PERU’

 

Ahimé la sveglia suona presto, troppo presto.

Alle 2.30,infatti, siamo già in piedi e pronti per iniziare il nostro tour verso il canyon del Colca.

Anche Carlos è già arzillo e,  dopo averci invitato a casa sua, con infinita pazienza ci guida pure fino al luogo in cui dobbiamo aspettare l’arrivo del pulmino diretto al Colca.

Ora la valle del colca non è mica è un posto qualsiasi.

E’ un posto sconfinato e indomabile.

Sconfinato perché trattasi del canyon più profondo del mondo e va dai 3600 metri ai 1500;  indomabile perché qui la natura vince su tutto.

Colca in quechua significa dispensa.

Infatti, fino a pochissimi anni fa, le popolazioni  che vi vivevano nascondevano il cibo in grotte  non raggiungibili dagli animali chiamate colca.

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Ancora oggi gli abitanti del luogo, in particolare di Chivay, sopravvivono soprattutto grazie all’agricoltura e, ovviamente, grazie al turismo. Si vestono con gli abiti tradizionali e parlano soprattutto in quechua.

La dimensione del tempo da queste parti è come se non esistesse e tutto resiste come una volta.

Eppure, lo confesso, stavolta il grande protagonista è il silenzio.

Un silenzio interrotto solo dalla meraviglia destata dalla visione di condor  che squarciano l’azzurro del cielo.

Si tratta di uccelli che, nonostante abbiano  una apertura alare superiore ai tre metri, sanno muoversi con estrema eleganza e delicatezza.

Ora capisco perché il condor per le culture preincaiche era un animale da venerare!

La gita, dopo la visita della valle, prosegue attraverso i paesini più caratteristici e le sue Chiesette.

Le terme, invece, sono deludenti: tre vasche fatte apposta per portarci i gringos e noi semi-gringos
Ciò premesso, quando torniamo ad Arequipa siamo ovviamente distrutti, ma Carlos ci aspetta e ci tiene compagnia fino a quando arriva l’ora di  partire nuovamente.

Sta per trascorrere  una nuova nottata in autobus, stavolta verso l’estremo Sud del paese, ovvero fino al lago Titikaka.

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Al riguardo già la stazione degli autobus di Arequipa ci preannuncia un cambiamento abbastanza netto non solo dal punto di vista climatico.

DaI  banconi gli strilloni alle dipendenze delle varie compagnie non smettono di urlare per pubblicizzare la tratta da loro percorsa e per catturare gli ultimi passeggeri.

Gridano “Puno, Puno, Puno”.

Sembra di stare al mercato del pesce.

Di contro  ci sono moltissime persone  particolarmente composte che indossano quegli abiti tradizionali da cartolina con cui il Perù si pubblicizza all’estero: chissà cosa stanno pensando in mezzo a tutta questa confusione.

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