Fino al 2004, anno di istituzione della giornata del ricordo in occasione dell’anniversario della sottoscrizione del trattato di Parigi ( 10 febbraio 1947), di Foibe e degli esuli giuliano-dalmata in Italia era vietato parlare e tutt’oggi sono motivo di polemica se non di irriverenza. Al riguardo ricordo ancora una imitazione della “comica” Caterina Guzzanti che, nell’interpretare un personaggio a corto di argomenti, gli faceva dire a mo’ di tormentone “e allora le foibe?“.
E gli spettatori ridevano. Già, si rideva di morti italiani, di una vera e propria pulizia etnica, del dramma di connazionali costretti a lasciare per sempre la terra in cui erano nati. Ed è stato per questo uno spettacolo disgustoso, andato in onda sulla tv nazionale per mesi, che ha fatto ancora più schifo di quello che affermano certi negazionisti / giustificazionisti da due soldi che pure non mancano.
Per decenni la convenienza politica a cortina di ferro ancora in piedi non ci ha fatto aprire bocca sul tema, ma oggi – che dovremmo riconoscere e ricordare un dramma – in taluni casi siamo arrivati addirittura alla derisione e all’irriverenza perché le foibe sono tuttora considerate un argomento proprio di una fazione politica
Le foibe però non sono un dramma di una fazione politica, ma di un popolo. In Istria e Dalmazia c’è stata una mattanza per ragioni ideologiche verso chiunque fosse italiano.
L’essere italiano dunque era ritenuta la ragione sufficiente per ricevere una pallottola e poi essere gettati in una cavità profonda decine di metri.
E questo, lo si spieghi agli imbecilli – che non voglio nominare e che pure quest’anno hanno dato prova di radicata bestialità – va ricordato sempre in modo che sia parte della memoria collettiva della nazione.
Se non altro di quella parte della nazione civile.
IO NON SCORDO. Voi?