Napoli tra gentrificazione e overtourism: vale la pena trasformarla in una friggitoria a cielo aperto?

Napoli tra gentrificazione e overtourism: dal cuore pulsante di cultura a friggitoria a cielo aperto?

Introduzione: una città in bilico e il rischio di autofagocitarsi.

Napoli, per secoli considerata la capitale culturale del Mediterraneo, è oggi al centro di una trasformazione senza precedenti. Da un lato, un boom turistico che ha proiettato la città tra le mete più visitate d’Europa; dall’altro, un processo di gentrificazione e overtourism che rischia di svuotare il centro storico della sua anima. Le botteghe artigiane del legno, le officine dei maestri del presepe, le storiche librerie e i negozi di musica stanno cedendo il passo a friggitorie, pizzerie e negozi di souvenir standardizzati. Napoli è diventata una vetrina globale, ma il prezzo da pagare è altissimo: aumento dei prezzi, espulsione degli abitanti, perdita di identità. E’ un fenomeno che abbiamo già visto a Barcellona, Venezia, Firenze, Roma e tante altre capitali del turismo. Per questo va fermato prima che sia troppo tardi.

Negli ultimi dieci anni, Napoli ha conosciuto un vero e proprio boom turistico. I dati degli arrivi e delle presenze sono cresciuti in modo esponenziale, trasformando la città in una delle mete più ricercate in Europa. Compagnie aeree low-cost, crociere, guide di viaggio e influencer hanno acceso i riflettori su un centro storico che l’UNESCO riconosce come Patrimonio dell’Umanità dal 1995.

Da un lato, questa rinascita ha portato nuove opportunità economiche, visibilità internazionale e un ritorno d’immagine per una città spesso associata a stereotipi negativi. Dall’altro, ha innescato un processo di gentrificazione e overtourism che rischia di snaturare l’anima stessa di Napoli, riducendo i suoi quartieri più antichi a scenografie per un turismo mordi-e-fuggi fatto di selfie, cibo di strada e souvenir standardizzati.

Oggi il centro storico — da Spaccanapoli a via San Gregorio Armeno, passando per i Decumani — appare sempre più come una friggitoria a cielo aperto, dove l’odore dell’olio bollente copre quello del legno appena intagliato, dove le botteghe artigiane chiudono per lasciare posto a locali fotocopia, e dove il costo degli affitti espelle residenti e studenti.


1. Dal laboratorio artigiano al fast food turistico

Per secoli, Napoli è stata un laboratorio culturale e produttivo unico in Europa. I vicoli del centro storico ospitavano ebanisti, liutai, maestri del presepe, librai antiquari e artigiani della carta. Ogni strada era un microcosmo di saperi tramandati di generazione in generazione.

Negli ultimi anni, tuttavia, la pressione turistica e la speculazione immobiliare hanno provocato un cambio di vocazione: botteghe storiche chiudono o vengono rilevate per essere trasformate in pizzerie al taglio, friggitorie, bar “instagrammabili” e negozi di gadget. L’artigianato sopravvive più come attrazione turistica che come attività produttiva reale, mentre interi settori scompaiono.

Esempi concreti:

  • Liuteria: via San Sebastiano, un tempo strada dei musicisti, oggi è in gran parte occupata da locali e ristoranti.
  • Presepi: San Gregorio Armeno si è riempita di statuine “pop” di politici e calciatori, spesso importate in serie dall’estero, accanto a pochi maestri veri che resistono.
  • Librerie storiche: alcune delle più antiche hanno chiuso, incapaci di sostenere affitti alle stelle e di competere con catene e e-commerce.

Questo processo, tipico della gentrificazione commerciale, crea un centro sempre più uniforme, dove la varietà culturale e produttiva lascia il posto a un’offerta monotematica incentrata su cibo veloce e intrattenimento immediato.


2. La bolla degli affitti e la fuga dei residenti

Uno degli effetti più evidenti del turismo di massa è la crescita vertiginosa dei canoni di locazione. In città come Napoli, dove il reddito medio è tra i più bassi d’Italia, questo ha conseguenze drammatiche.

Le piattaforme di affitto breve — in primis Airbnb — hanno reso più conveniente destinare un appartamento ai turisti piuttosto che affittarlo a lungo termine. Nel centro storico, interi palazzi sono stati convertiti in B&B, riducendo l’offerta abitativa per i residenti.

Gli studenti universitari, in particolare quelli fuori sede, sono tra le prime vittime:

  • Un monolocale che fino a 5-6 anni fa costava 400 euro oggi può superare i 700-800 euro.
  • Molti proprietari preferiscono affitti brevi, lasciando agli studenti solo soluzioni in periferia o in condizioni abitative precarie.

Questo spostamento forzato provoca l’espulsione della popolazione residente e altera la struttura sociale dei quartieri. Dove prima c’erano famiglie, botteghe, reti di vicinato, oggi c’è un ricambio continuo di visitatori che soggiornano pochi giorni.


3. Overtourism: quando il troppo stroppia

Il termine overtourism descrive la saturazione turistica di un’area al punto da compromettere la qualità della vita dei residenti e l’esperienza dei visitatori stessi. Napoli, specialmente nel centro storico, mostra segni evidenti di questo fenomeno:

  • Affollamento cronico in vie strette e piazze storiche, con difficoltà di transito per residenti e servizi.
  • Rumore e degrado dovuti alla movida notturna incontrollata.
  • Pressione sui servizi pubblici, dai trasporti alla raccolta rifiuti.
  • Consumo eccessivo dello spazio pubblico, con tavolini e dehors che invadono marciapiedi e vicoli.

L’equilibrio tra accoglienza e vivibilità è saltato, e il turismo, da risorsa, rischia di diventare un fattore di erosione culturale e sociale.


4. Napoli capitale del turismo… ma di quale turismo?

Non tutto il turismo è uguale. Napoli attira sia viaggiatori interessati alla sua storia millenaria — dal Museo Archeologico ai sotterranei greco-romani — sia turisti attratti dalla moda del momento, spesso con un approccio superficiale e consumistico.

Negli ultimi anni ha prevalso un modello di turismo low-cost, rapido e concentrato sul cibo di strada e sugli scorci fotogenici. I pacchetti di crociera e le gite in giornata da Roma o dalla Costiera contribuiscono a questa dinamica: poche ore in città, visite lampo, spesa minima se non per un panino o una pizza fritta.

Questo modello ha conseguenze chiare:

  • Introiti limitati per la comunità locale rispetto al numero di visitatori.
  • Sfruttamento eccessivo di poche aree a scapito di altri quartieri ricchi di storia ma ignorati.
  • Perdita di qualità dell’offerta culturale in favore di esperienze standardizzate.

5. Il rischio della “Disneyficazione”

Gli studiosi di urbanistica parlano di “Disneyficazione” per descrivere la trasformazione di un luogo reale in un parco tematico. Napoli rischia questo destino: il centro storico diventa un set permanente dove le tradizioni sono riprodotte in chiave turistica, perdendo autenticità.

L’artigiano che lavora il legno o il presepe davanti al cliente è sostituito da una bottega che vende prodotti importati ma confezionati come “tipici”. Le strade si riempiono di insegne luminose e menù tradotti in cinque lingue, mentre la lingua napoletana e le usanze locali si riducono a folklore da cartolina.

Il problema è che questa trasformazione è irreversibile oltre una certa soglia: una volta perse le botteghe storiche e gli abitanti, ricostruire un tessuto sociale autentico diventa quasi impossibile.


6. La risposta delle istituzioni e delle comunità

Il Comune di Napoli e alcune associazioni stanno tentando di affrontare il problema con misure di regolamentazione:

  • Limitazioni alle licenze per nuove attività di ristorazione in aree sature.
  • Incentivi e agevolazioni fiscali per le botteghe storiche.
  • Progetti di “turismo diffuso” per spostare i flussi verso quartieri meno congestionati.

Tuttavia, queste iniziative faticano a incidere su un fenomeno alimentato da dinamiche globali: il mercato degli affitti brevi, la domanda internazionale di esperienze low-cost e la viralità dei social.

Alcuni comitati di quartiere stanno provando a difendere le tradizioni con eventi, mercati artigiani e campagne di sensibilizzazione, ma senza una strategia integrata e un quadro normativo forte il rischio di perdita identitaria resta alto.


7. Napoli può ancora difendere la sua identità?

La domanda di fondo è se Napoli, città con oltre 2.500 anni di storia, sia in grado di conciliare sviluppo turistico e tutela del proprio patrimonio materiale e immateriale.

Per riuscirci servono:

  1. Politiche abitative che frenino la conversione selvaggia degli appartamenti in B&B.
  2. Tutela attiva dell’artigianato, con sostegni economici e promozione internazionale.
  3. Promozione di un turismo culturale di qualità, che valorizzi l’offerta museale, teatrale e musicale.
  4. Pianificazione urbana per preservare la vivibilità dei quartieri centrali.

Il boom turistico può essere una risorsa solo se gestito in modo sostenibile. Senza queste misure, Napoli rischia di diventare un enorme “pizza village” per influencer, perdendo quella stratificazione culturale che l’ha resa unica nel mondo.

IL CASO BARCELLONA

Barcellona, come molte altre città europee, sta affrontando una reazione complessa e multifattoriale all’overtourism, un fenomeno che ha un impatto profondo sulla vita dei residenti. Le risposte a questo problema provengono sia dalle autorità locali che dalla popolazione, e si manifestano attraverso una combinazione di politiche, proteste e cambiamenti nel tessuto sociale.

Le politiche delle autorità cittadine:

Il governo municipale di Barcellona ha introdotto diverse misure per cercare di gestire il sovraffollamento turistico e mitigarne gli effetti negativi:

  • Restrizioni sugli affitti brevi: Una delle azioni più significative è il divieto degli affitti brevi per uso turistico a partire dal 2028. L’obiettivo è quello di liberare migliaia di alloggi per i residenti, affrontando il problema della crisi abitativa e dell’aumento vertiginoso dei prezzi degli affitti, che sono aumentati del 18% in un solo anno in città come Barcellona e Madrid.
  • Aumento delle tasse sul turismo: Le autorità hanno aumentato la tassa di soggiorno, in particolare per i crocieristi che si fermano in città per meno di 12 ore, con l’obiettivo di disincentivare il turismo “mordi e fuggi” e generare entrate che possono essere reinvestite nella città.
  • Regolamentazione dei tour guidati: Sono state introdotte norme per limitare le dimensioni dei gruppi di turisti in alcune aree e per vietare l’uso di megafoni, al fine di ridurre l’inquinamento acustico e il disturbo nei quartieri storici.
  • Riduzione del numero di navi da crociera: Le navi da crociera più vicine al centro non sono più accettate, spostando gli approdi a porti più lontani, per limitare l’impatto ambientale e il flusso di turisti concentrato in poche ore.

La reazione dei residenti:

L’overtourism ha suscitato un forte malcontento tra i residenti, che si sentono spesso “invasa” nella loro stessa città. Le proteste sono diventate sempre più frequenti e visibili, con manifestanti che usano slogan come “Barcellona non è in vendita” e “Turisti a casa”.

  • Manifestazioni e attivismo: I cittadini scendono in piazza per denunciare l’aumento dei prezzi, la perdita di identità dei quartieri e il sovraffollamento. In alcuni casi, le proteste sono diventate più dirette, con attivisti che bloccano autobus turistici o “spruzzano” i turisti con pistole ad acqua per attirare l’attenzione sul problema.
  • “Turismofobia”: Il malcontento crescente ha portato alla nascita del termine “turismofobia” per descrivere il sentimento di ostilità verso i turisti, visto come un problema sociale che incide sulla qualità della vita, sull’economia locale e sull’ambiente.
  • Perdita del tessuto sociale: L’aumento dei prezzi e la trasformazione dei negozi tradizionali in attività commerciali orientate al turismo hanno costretto molti residenti a trasferirsi, svuotando i centri storici e alterando il tessuto sociale della città.

In sintesi, Barcellona sta cercando di trovare un equilibrio tra i benefici economici del turismo e la necessità di preservare la qualità della vita dei suoi abitanti. Le politiche adottate e le proteste dei cittadini riflettono un dibattito acceso e un tentativo di ridisegnare il modello turistico della città verso un approccio più sostenibile e rispettoso delle comunità locali.


Conclusione: il bivio di Napoli

Napoli è oggi a un bivio: continuare sulla strada del turismo di massa, con ricavi immediati ma effetti a lungo termine distruttivi, o investire in un modello sostenibile che preservi la sua anima.

Il rischio di trasformarsi in una copia caricaturale di se stessa è reale. La sfida è mantenere viva quella Napoli che ha fatto innamorare scrittori, musicisti e viaggiatori di ogni epoca, senza ridurla a un fondale per smartphone.

Se la città saprà proteggere le sue botteghe, i suoi abitanti e il suo patrimonio culturale, potrà essere capitale del turismo non solo per i numeri, ma per la qualità dell’esperienza offerta. Altrimenti, resteranno solo odore di fritto e file di turisti, mentre l’identità vera scivolerà via, come sabbia tra le dita.

Questo blog ha per anni raccontato le bellezze strepitose che Napoli ha da offrire cercando di dare sempre un taglio culturale e storico alla narrazione. Oggi, purtroppo, nell’immaginario collettivo Napoli viene considerata una città del folclore dove si possono ignorare tutte le regole. Non è un caso, dunque, che sia diventata la meta preferita da chi viene a festeggiare gli addii al celibato e al nubilato. Uno spritz a pochi euro ai quartieri spagnoli, per questa tipologia di turismo è più che sufficiente. Per questo ritengo essenziale cambiare la prospettiva e dare un’altra immagine di Napoli. L’occasione può darla la coppa America fortemente voluta, proprio a Napoli, dal governo Meloni. Le risorse economiche che arriveranno consentiranno di investire sull’area est dando un futuro radioso a Bagnoli e, magari, presentando dei progetti seri per Nisida. E’ lì l’occasione per dare a Napoli nuovi spazi! Per il resto, mi sia consentito di rinnovare il mio invito a tenere come punto di riferimento sempre la mia guida su cosa visitare a Napoli in 4 o 5 giorni. L’ho recentemente aggiornata e rinnovata indicando tutte le attrazioni principali della città.

2 commenti

  1. Esperienza a Napoli: decumani pieni file da Sorbillo (ma perchè?) Certosa di San Martino quattro gatti. italiani, tedeschi (!) e francesi, zero USA zero orientali. La cosa che fa schifo è il degrado trasformato in “experience”

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