A Napoli non sanno più fare la pizza

l Tradimento della Margherita: Quando la Pizza a Napoli Smette di Essere Popolare e Diventa “Gourmet”

Signori, abbiamo un problema: a Napoli non sanno più fare la pizza. Tra cornicioni giganti, scenette sui social, ingredienti assurdi e campionati di pizza farlocchi in cui vince chi vende il prodotto che organizza il campionato è un giro disgustoso che ha avuto un unico effetto: abbassare la qualità e aumentare i costi per i consumatori.

Napoli, la città madre, la culla della pizza. Un’icona gastronomica che ha conquistato il mondo con la sua semplicità rivoluzionaria: farina, acqua, lievito, pomodoro e mozzarella. Ma se c’è un malumore che serpeggia tra i puristi, è che proprio nella sua patria, la pizza stia vivendo una pericolosa deriva, un tradimento delle sue radici popolari a favore di un’effimera celebrità social e di un ingiustificato innalzamento dei prezzi.

L’accusa è chiara: a Napoli, sembra che stiano dimenticando come fare la vera pizza, quella che ti sporca le mani e costa pochi euro.

Il Pizzaiolo Star di TikTok e il Caro-Scontrino

Il primo grande scoglio è la trasformazione del pizzaiolo da artigiano a divo di TikTok. Oggi, non basta più la competenza infornando un disco di pasta in 60 secondi; serve una presenza scenica, un video virale mentre si stende un panetto o si spiega, con toni da luminare, la “scienza dell’idratazione” dell’impasto.

Questa ricerca ossessiva di visibilità ha avuto due conseguenze immediate e dannose:

  1. L’aumento dei costi: L’artigianato popolare si è vestito da haute cuisine. Il prezzo della semplice Margherita ha subito impennate ingiustificate, trasformando un pasto accessibile a tutti in un lusso che spesso sfiora e supera i 15-20 euro per una cosiddetta “pizza gourmet”.
  2. L’ossessione per l’innovazione forzata: Nascono le pizze con cornicioni “super” (spesso indigesti e gonfi come ciambelle), impasti multicereali, e condimenti con ingredienti esotici o presunti “presidi slow food” che, a conti fatti, risultano pleonastici e snaturano il sapore vero.

Il Circo dei Premi Farlocchi e le Sponsorizzazioni Opache

A dare man forte a questa bolla speculativa, è l’intero sistema di premi, classifiche e campionati che sembra aver trasformato il settore in un circo mediatico. Ogni anno spuntano nuove liste e graduatorie che incoronano “i migliori 50”, “i 10 migliori forni”, o il “pizzaiolo dell’anno”.

La trasparenza di queste competizioni è, nella migliore delle ipotesi, opaca. Molti di questi “campionati” e “eventi gourmet” sono palesemente sponsorizzati da marchi di farina, conserve e attrezzature. Il risultato è che spesso il riconoscimento non va alla genuinità del prodotto finale, ma alla capacità del pizzaiolo di utilizzare (e pubblicizzare) i prodotti degli sponsor, creando un sistema autoreferenziale e viziato.

L’Addio alla Popolarità

La pizza, per sua natura, è semplicità, velocità e accessibilità. Era il pasto della classe operaia, il cibo che univa tutti senza distinzioni economiche.

L’attuale tendenza, invece, la sta rendendo:

  • Complessa: Con decine di ingredienti assurdi e spiegazioni chilometriche sul menu.
  • Lenta: Con attese che sfiorano l’ora anche in giorni feriali.
  • Elitaria: Con prezzi da ristorante stellato e ambientazioni che mirano più all’estetica da Instagram che al comfort del cliente.

Basta cornicioni super! Basta pizze da $25! Il vero lusso della pizza napoletana era la sua assoluta modestia. Finché i pizzaioli non riscopriranno il valore del pomodoro San Marzano e della mozzarella fior di latte, messi insieme con maestria e venduti a un prezzo onesto, la capitale della pizza rischia di diventare la capitale del kitsch gastronomico.

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