28 giugno – Per poter compiere il cammino di Santiago è indispensabile, tra le altre cose, imparare ad essere ordinati e a gestire perfettamente l’equipaggiamento di cui si dispone. Ciò significa che è necessario imparare a preparare il proprio zaino anche al buio e senza far rumore per non svegliare gli altri pellegrini. Tanto è vero che qui, anche le persone che normalmente sono distratte e caotiche, si trasformano improvvisamente e misurano ogni movimento. Quando esco dall’albergue, a Melide il sole deve ancora sorgere e ho difficoltà a capire dove prosegue il cammino. Tanto più che la mia pila continua a dare problemi e mi costringe ad andare a naso. Naso che però porta sulla strada sbagliata e mi fa camminare a vuoto per più di un’ora, ovvero fino a quando incontro un camionista che si ferma e mi riporta indietro fino al bivio che avrei dovuto prendere. Avrò fatto inutilmente almeno 8 km in più – che comunque non conto ai fini del calcolo effettivo della tappa, anche se comunque pesano – ma soprattutto, il che è anche peggio, ora sono indietro su tutti e mi tocca accelerare per non rischiare di non trovare posto in albergue. Fortunatamente la tappa è molto piacevole e io mi sento in gran forma, tanto è vero che riesco a fare 13 km in poco più di due ore superando subito Ribadiso e arrivando presto ad Arzua.
Dovrei fermarmi qui, visto che mi ero impegnato con Johanna e Cristina ad aspettarle, nonché con me stesso per fare tappe bravi, ma c’è qualcosa che mi chiama, qualcosa che mi attrae e mi spinge verso la meta. Sento la necessità di stare da solo e non voglio sentirmi condizionato. Proseguo. Entro stasera voglio arrivare a Monte de Gozo e, pertanto, finisco per lasciarmi alle spalle ogni pellegrino che incontro. Mentre supero anche Sant’Irene, penso anche a quel ciclista tedesco coi baffetti che incontravo sempre sul cammino del Nord. Ogni volta che mi vedeva, sgranava gli occhi e non capiva come fosse possibile che facessimo le medesime tappe benché lui stesse con la bici. L’ultima volta che lo incontrai fu in quel maledetto giorno di pioggia a Llanes e io, che ero occupato al telefono, non lo feci fermare. Mi spiace di non averlo potuto salutare. C’è da dire, però, che io, durante le mie fatiche, mi sono imbattuto in tantissime maschere, mentre i volti li ho incontrati solo nella mia mente. Si tratta di persone che non ci sono più, ma che sono ugualmente sempre con me, nonché di fantasmi del passato che ritornano sovente a farmi visita.
La vita è, infatti, fatta di “sliding doors”, di porte scorrevoli che ti portano sempre a chiederti cosa sarebbe successo se avessi oltrepassato una porta piuttosto che un’altra. A tal proposito, almeno per quando mi riguarda, il rammarico che tormenta deriva dal fatto che, a volte, invece di scegliere una porta, ho finito per rimanere immobile ritenendo erroneamente che le occasioni sarebbero tornate a cercarmi. Invece non è così: ogni occasione arriva solo una volta e sta a te scegliere di sfruttarla o meno. Quando arrivo ad Arco do Pino – dove praticamente tutti i pellegrini si fermano – è già molto tardi, ma io non ho dubbi sul fatto che a Monte de Gozo troverò sicuramente posto, così mi limito a fare una lunga sosta di più di un’ora per rifocillarmi per poi proseguire per il bosco. Sono ormai passate le 16 e sono praticamente solo.
L’emozione sopraggiunge e inizio a ridere a crepapelle senza motivo. Rido, rido e rido ancora. Se qualcuno mi vedesse, penserebbe che son pazzo – e forse lo sono – ma la verità che è che sono in estasi e la gioia interiore si è appena impadronita di me. Per alcune centinaia di metri, proseguo ai lati della superstrada e vengo accompagnate da migliaia di croci di legno apposte dai pellegrini di passaggio. Ormai ci siamo e le risate lasciato spazio alla commozione.
E’ come se qualcuno premesse un pulsante e mi ordinasse di ridere. Inizio a salire sul monte de Gozo, che significa il monte della gioia, della allegrezza, della festosità, e ora so bene cosa significa. E’ la seconda volta che ci salgo ed è la seconda volta che mi commuovo. . Un anno fa ebbi la stessa reazione, non mi spiego come sia possibile tutto ciò. Manca solo un ultimo sforzo, ma il Monte de Gozo – forse anche perché si sente già l’odore di Santiago e l’attesa è stata sostituita dalla pretesa – sembra non finire mai. Alcune pantagrueliche costruzioni rievocano la visita di Giovanni Paolo II a Santiago e le stazioni radio mi confermano che sono tornato nella civiltà moderna. Quando incrocio un gruppo di calabresi che mi dà il benvenuto nell’albergue, ormai sono quasi le 20.00. E’ la sera della seminale tra Italia e Germania, partita che vedo in un enorme bar diviso, per l’occasione, in due settori per i tifosi delle squadre sfidanti. Io, che rimango nel mezzo, mi godo in silenzio lo spettacolo e assisto alla sorprendente vittoria dell’Italia. A vederla con me c’è anche il caro Daniel, che, a risultato acquisito, mi fa sportivamente i complimenti per la vittoria e si congeda sommessamente. Io, però, stavolta non ho per niente voglia di festeggiare la partita e men che meno l’arrivo. Non voglio nemmeno brindare con l’orujo, il liquore a base di erbe tipico della Galizia: devo ancora arrivare a Santiago e già mi manca.
Non vedevo l’ora di arrivare e, invece, in questo momento, vorrei ricominciare tutto daccapo per sfruttare al meglio ogni occasione. A proposito di sliding doors, la malinconia e la nostalgia si sono già sovrapposte all’estasi e non riesco più a liberarmi dei miei pesi.
Comunque, per la cronaca, domani, venerdì 29 giugno, sarò ufficialmente a Santiago e sarà sicuramente un giorno da vivere intensamente.
NOTA TECNICA: tappa molto varia, quindi molto piacevole. Difficoltà media.