CAPITOLO 2 – PERU’
Barranco la mattina è molto sonnacchiosa, si muove quasi a ritmo di garuà. Dopo aver visitato la piazzetta principale del quartiere, ci dirigiamo subito verso il mare attraversando il ponte dei sospiri. Non so perché, ma mi affascina l’atmosfera malinconica creata dai palazzi che una volta erano di azzurro e rosso acceso e che ora sono scoloriti. Per fare colazione ce ne andiamo in un bel bar frequentato solo da gringos e in cui anche i prezzi sono da gringos.
Lima credo che vada vissuta così come stiamo facendo noi ora: a piccole dosi fruendo il più possibile di un angolo di tranquillità nascosto in mezzo al caos.
E, invero, quando saliamo sul metropolitano – l’unico mezzo pubblico efficiente di Lima ( un autobus con corsia preferenziale e vere e proprie stazioni di accesso) – il senso di pace appena conquistato viene subito perduto, allorché ci ritroviamo schiacciati come sardine dai pendolari che si recano al lavoro anche di domenica.
La nostra fermata, in ogni caso, è quella di Javier Prado e arriva dopo poco. Qui, infatti, c’è la stazione della Cruz del Sur, la compagnia di autobus più lussuosa del Perù.
Dobbiamo andare a Paracas e, con infinito stupore, appena salgo sull’autobus dopo aver fatto un vero e proprio check in, noto subito che sarà un viaggio particolarmente comodo: sedile reclinabile, coperta, cuscino, wi fi, schermo personalizzato per vedere un film a piacere, spuntino e bibita.
L’agio con cui mi sto ( rectius: ci stiamo) muovendo stride, tuttavia, con l’estremo degrado in cui versa l’infinita periferia di Lima. Mentre consumo il pranzo che mi è appena stato servito, avverto un estremo senso di tristezza nel vedere tante baracche, sicuramente non collegate ad alcuna fognatura, fare da cornice al panorama.
Provo tristezza, ma anche indignazione, perché la ricchezza può essere un merito ma la povertà non può essere mai una colpa se non in chi accetta passivamente lo status quo delle cose e non fa nulla per rendere il mondo più giusto. Eppure io, che non sono padrone nemmeno della mia vita e sono solo un essere insignificante davanti alla grandezza dell’universo, non riesco comunque a essere cosciente fino in fono della mia impotenza e continuo a desiderare più giustizia sociale.
Ecco, sì.
Io rivendico che ci sia più giustizia sociale in questo mondo e sarà pur vero che le mie sono solo squallide parole senza alcun contenuto o ricetta, ma in questo contesto già il non rimanere quiescenti è un piccolo passo.
A Paracas, in ogni caso, arriviamo dopo quattro ore. Basta fare cinquecento metri a piedi e già siamo in centro. Cinquecento metri costellati da altrettante inutili panchine su cui non si siederà mai nessuno. Perché gettare i soldi pubblici così?
Dobbiamo cercare un posto per dormire, ma non possiamo parlare, né dire quanto abbiamo intenzione di spendere.
Appena lo facciamo, una macchina si accosta con il finestrino abbassato e ci propone una stanza casualmente proprio al prezzo che avevamo sussurrato poc’anzi.
Ci origliano.
E non fanno nulla per nasconderlo.
Dopo qualche sondaggio random, ci facciamo convincere da un ragazzo meno sveglio di quel che vuole sembrare che ci offre una stanza a quaranta soles ( 11-12 euro). Ronaldo, questo è il nome del nostro procacciatore, ci vorrebbe anche vendere un pacchetto turistico per visitare le isole Vallestas.
Sennonché Ronaldo non ha fatto i conti con la pervicacia di Lalli che, dopo una insistente negoziazione, fa sparire il sorriso falsissimo che lo stesso Ronaldo si sforzava di mantenere.
“Non intendo proseguire questa trattativa”.
Ronaldo non vuole darla a vedere e per questo motivo ci gira le spalle, ma sta rosicando.
E rosicherebbe ancora di più gli dicessimo che, cinque minuti dopo, abbiamo acquistato lo stesso pacchetto presso un’altra agenzia, ma ad un prezzo più conveniente.
Non siamo gringos, non siamo persone che sono venute qui per farsi imbrogliare, ed è bene farlo comprendere anche ai furbastri.
Paracas è una piccola cittadina di mare con decine di ristorantini familiari, ma pochissimi turisti in questa stagione. Dalla spiaggia ogni tanto mi sembra di avere una allucinazione.
Mi sembra, infatti, di vedere qualcosa affiorare dall’acqua. Qualcosa che emerge e poi, subito dopo, si nasconde.
Di quale mostro marino si tratta?
Al buio non si riesce a vedere, ma tutto sommato credo che sia solo una allucinazione.
Me ne sono quasi convinto.
Sono comunque dell’idea che chiedere e non rubare, sia la via giusta…
Comunque pazzesche certe realtà… fanno riflettere… quindi grazie per il tuo articolo!
Buona serata ^_^
"Mi piace""Mi piace"
[…] ( – Le apparenze non ingannano) quello relativo alla mia visita mattutina al litorale ( la povertà non è una colpa), nonché la mia visita al museo precolombiano ( la sorprendente eleganza del museo Largo […]
"Mi piace""Mi piace"
Questo è vero… anche se la necessità aguzza l’ingegno! per me ladri non si nasce ma si diventa… e non sempre ce l’hai impresso nel DNA!
"Mi piace""Mi piace"
Ciao Diana!
Sai, all’inizio pensavo che, se mi derubassero, in fondo non opporrei resistenza e consegnerei pure il resto.
Poi mi sono reso conto di una cosa: i violenti, i furbi sono sempre i più forti.
I poveri non fanno i furbastri per fregarti!
"Mi piace""Mi piace"
Un viaggio nei paesi del “terzo mondo” genera sempre, negli animi sensibili, riflessioni di questo tipo… forse non potremo cambiare il mondo, ma abbiamo una consapevolezza che a molti manca! E che, dal mio punto di vista, “giustifica” almeno in parte l’atteggiamento dei “furbastri”, anche se concordo con te sul fatto che non siamo “gringos”…
Grazie…
"Mi piace""Mi piace"