L’Alba di Mostar

Mostar-and-Pocitelj-day-trip-from-Makarska-Riviera-3-17394.pngSi prepara ancora il caffè turco per le strade di Mostar.

Nell’ibrik, il bricco in ottone dalla forma allungata, prima si  fa bollire l’acqua sul fuoco, poi si aggiunge il caffè macinato. Produce un odore esotico che è tuttora usuale a Mostar nonostante siamo passati sei secoli da quando sono arrivati gli ottomani da queste parti.

Dell’impero austro-ungarico, invece, non è rimasta alcuna eredità. Tutto sommato l’esperienza è durata poco. Eppoi ci sono troppe cicatrici  da coprire: nazisti, nazionalisti serbi, comunisti. Non si sono fatti mancare nulla.

Tanto è vero che quando quel bastardo di Tito crepò a Lubiana, lassù al Nord, per trasferirsi per sempre all’inferno,  da queste parti non fu versata una sola lacrima.

Ci sono voluti altri 12 anni di sonno prima di provare a dichiarare l’indipendenza.

Poche ore dopo arrivarono i primi bombardamenti serbi e montenegrini.

Fu l’inizio di un assedio durato nove mesi durante il quale venne distrutto un monastero francescano, la Cattedrale dedicata alla Beata Vergine, il palazzo vescovile e una antichissima biblioteca con otre 50.000 volumi

Ma non furono solo i cattolici a contare i danni. Nemmeno i musulmani vennero risparmiati.

E tantomeno fu risparmiato il ponte di pietra del XVI secolo: quel mortaio croato incaricato del misfatto continuò a svolgere il suo lavoro finché l’opera di distruzione non fu portata a termine.

Quando infine fu ordinato il cessate il fuoco, la città rimase divisa per due anni tra croati e bosniaci. Esattamente come a Berlino solo che in luogo del muro  ci pensavano i cecchini a far rispettare i confini.

Eppure 10 anni più tardi Mostar è stata dichiarata patrimonio della umanità

 

 

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