Viaggio nella Spagna profonda tra la Castilla y Leon e l’ Extremadura ( capitolo 1)

20150520_201408Io in genere ho bisogno di essere spagnolo almeno un paio di volte all’anno, in questo periodo anche tre o quattro. È,infatti, bastato recuperare l’ultima guida da me comprata – anno 2010 – in occasione del mio primo viaggio a Madrid per scoprire che all’interno vi avevo conservato il biglietto dell’ultimo treno Valencia-Alicante che ho preso in vita mia. La prima volta che ho visto Madrid fu con quello stramboide di Martin il tedesco e solo il Signore sa che fine abbia fatto: partimmo con la sua macchina scassata alle 6 del mattino,poi ci dirigemmo all’aeroporto di Alicante e finimmo per perderci. A Madrid per strada, mica in aeroporto. Infine, sempre per strada, ci ritrovammo in via del tutto casuale a poche ore dal volo di ritorno: lui non usava cellulare, marchingegno troppo sofisticato per lui.
Ora,invece, ho la sensazione di essere tornato a casa,perché in tutta la Spagna mi sento sempre a casa, anche se – ovviamente- Alicante e Santiago sono le stanze che ho potuto vivere di più. Mi mancavano le battute salaci e le risate sonore di gruppo:
-“deve andare in Bolivia”?
– “No, ma se mi invita vengo volentieri”, ha risposto un signore elegante ad un addetto in aeroporto tra l’ilarità generale delle hostess sudamericane.

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Infatti, appena ho messo piede a terra, il mio istinto mi ha preventivamente suggerito che dovevo ridere a 32 denti esattamente come l’anno scorso, quando – nell’attraversare il ponte di Santiago che divide la portoghese Valenca do Minho dalla spagnola Tui – ho iniziato a sprizzare felicità da tutti pori.
Ciò anche se all’aeroporto di Barajas, per tradizione ultraquinquennale consolidata, mi perdo sempre e comunque.

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E, invero, anche stavolta sbaglio direzione e finisco per dirigermi verso l’uscita sbagliata.
Il viaggio per Salamanca, ad ogni modo, non è per nulla defatigante: l’autobus ha addirittura le poltroncine in pelle e il wifi a bordo, roba cui io non sono di certo abituato, ma è fin troppo silenzioso.
Quando arrivo è suonata abbondantemente la mezzanotte, sono ufficialmente in “movimento” da 16 ore consecutive e fa un freddo cane.
Ciò nonostante per orientarmi non ho bisogno di alcuna informazione e a naso riesco subito a raggiungere la plaza Mayor.
La città è più addormentata di quanto pensassi, ma non ci vuole molto a capire che è davvero un centro affascinante e pieno di vita.
Nell’ostello condivido la stanza con Karola, una signora olandese che sta facendo il cammino de la Plata, e Jesus, un ragazzo argentino che si è regalato il viaggio della vita subito dopo aver conseguito la laurea in…giurisprudenza.
I casi della vita sono assurdi, talmente assurdi che non sembrano possano essere casuali.
Ma tant’è…

20150521_105922Karola, più in particolare, è una persona che ha molta voglia di parlare. Si vede che nel corso del cammino è stata per troppi giorni da sola e immagino quanto possa essere dura camminare sotto il sole dell’Extremadura.
Io, del resto, non sono da meno e la tempesto di domande sull’unico cammino che mi manca (assieme a quello del levante, ndr) e che nei prossimi giorni mi perseguiterà, visto che – per la prima volta – visiterò diverse città che lo attraversano, ma non da pellegrino. Mi racconta così che si è dovuta fermare a Salamanca da più di una settimana per un grave problema alla gamba e che nell’attesa si è iscritta ad un corso di spagnolo. Non sa dire nemmeno buongiorno, ma il guaio per me è un altro.
Per me il guaio è che Karola non potrà arrivare a Santiago con i suoi piedi e io, da pellegrino, non posso fare a meno di immedesimarmi nel dramma.

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