Il lago Titicaca con le isole di Amantani e Taquile – Viaggio in Perù – capitolo 8).
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Dopo aver abbandonato l’isola fluttuante ci aspettano quasi tre ore di navigazione, tre ore che non regalano colpi di scena e che trascorriamo dormicchiando fino al nostro arrivo sull’isola di Amantani, l’isola in cui rimarremo per un paio di giorni assieme ad una delle famiglie locali.
Amantani ha la forma di un cappello peruviano: è tutta in salita e finisce a punta a quota 4150 metri. Vi abitano non più di duecento persone, duecento persone che resistono alla modernità e vivono soprattutto di agricoltura e pastorizia. Ogni anno tutti i paesani si riuniscono e rendono omaggio alla pachamama ( la madre terra) lasciando del cibo nel recinto religioso e facendo tre giri in senso antiorario attorno allo stesso. Si tratta di riti antichi ripetuti dalla notte dei tempi fatti più per superstizione che per altro. Si dichiarano cattolici, ma è evidente che continuano ad essere pagani senza nemmeno rendersene conto.
Le loro case non hanno né l’acqua corrente né i bagni, mentre l’elettricità è qualcosa di dannatamente aleatorio: se si è fortunati può resistere pure un paio di ore al giorno,
anche se le giornate seguono il ritmo del sole e chi si sveglia all’alba difficilmente tira fino a tardi.
Ovviamente si tratta di abitazioni molto spartane composte da la cucina e da altre due, tre camere da letto.
Appena sbarchiamo sull’isola ci viene a prendere Nelly, una ragazza di non più di 25 anni che riesce a lavorare la lana anche mentre cammina su un percorso accidentato. A dire il vero non è molto loquace, ma in fondo da queste parti c’è poco da dire. In casa vive con i suoi genitori, suo marito e José Luis, un bambino di 10 anni molto intelligente. Ogni tanto però si aggrega anche la cuginetta che vive sul lato opposto dell’isola.
Le stanze sono molto rustiche e basse, tanto che per entrarvi devo quasi piegarmi in due. Oltre a Lalli, con noi ci sono anche Jorge e Karen, due ragazzi peruviani dai modi gentili e garbati. con cui consumiamo la zuppa che ci viene servita. Noi ospiti siamo seduti attorno all’unico tavolo della cucina, mentre i padroni di casa – José Luis e cuginetta compresi – mangiano a terra o seduti lungo una panca di legno. Un po’ mi sento in colpa.
Dopo aver pranzato, salutiamo i nostri anfitrioni e saliamo tutti assieme in cima all’isola per godere del miglior panorama sul Titicaca: da lontano si riesce a vedere pure la parte boliviana con le isole del Sol e della Luna. Sennonché, mentre camminiamo, due tedeschi molto simpatici vanno in affanno a causa dell’altitudine e sorridono ripetendo “piano piano”. Non sono dei viaggiatori sprovveduti, ma parlano spagnolo e hanno iniziato il loro viaggio due mesi fa dall’Ecuador. A dire il vero non sono molto entusiasti dei modi delle persone qui in Perù e io non posso fare a meno di condividere questo punto di vista.
In cima ci saranno almeno una cinquantina di persone e tutte, ovviamente per scaramanzia, non si sottraggono al rito di compiere tre giri in senso antiorario attorno al “recinto religioso”. Pare che poi si possa esprimere un desiderio!
Rimaniamo a lungo in cima, quasi fino al tramonto che colora le montagne di rosso, dopodiché corriamo giù per il freddo che ci gela le ossa. Il buio pesto, tuttavia, non ci fa orientare e, per questo motivo, José Luis è venuto a prenderci per guidarci fino al sentiero di casa.
Infatti il percorso è illuminato solo da lampi e dal cielo stellato, il più bel cielo stellato che abbia mai visto, e nessuna casa in lontananza sembra avere delle luci accese. Mentre camminiamo, Lalli si diverte a parlare con José Luis chiedendogli pure cosa gli sarebbe piaciuto fare da grande.
La domanda, a dire il vero, è un po’ scontata da queste parti: qui praticamente tutti sono condannati a coltivare patate o, al massimo, a scappare a Puno nella speranza di diventare una guida. Fare la guida, infatti, è considerato come l’unico modo per emergere e farsi rispettare.
Eppure José Luis riesce a spiazzarci dandoci una risposta che non ci aspettavamo: lui – dice – vuole fare l’ingegnere civile come un tizio di Lima che una volta venne sull’isola con il progetto di portare l’acqua nelle case ed era pieno di soldi.
Ecco, ad essere sinceri a José Luis interessano più i soldi che le case, ma il suo è un sogno talmente bello che spero abbia una possibilità su un milione di potersi realizzare.
Lui non ce lo dice, ma sappiamo che tutti i giorni molti bambini che vivono sul Titicaca prendono una bacinella, una bacinella che normalmente si usa per lavare i panni, la mettono sulla riva, ci salgono sopra e iniziano la loro traversata remando con le mani in un lago che spesso è molto vicino agli zero gradi.
Non lo fanno per divertimento, ma perché la loro scuola dista alcuni km e non hanno altre alternative per raggiungerla. Tra andata e ritorno si tratta di quattro, cinque, sei ore di fatica.
Ciò nonostante José Luis è sempre allegro: il suo è il sorriso di chi ignora che altrove funziona diversamente.
Infatti , quando Laura riporta alla madre che José Luis vorrebbe fare l’ingegnere, quest’ultima si limita a sorridere continuando a cucire, poi – improvvisamente – esclama:”oooh, l’ingegnere….”
A volte anche sognare è un lusso che non ci si può permettere.
E, invero, vorrei tanto che in mezzo a tante stelle ce ne sia una cadente per esprimere un desiderio.
Sarebbe troppo bello dire che un giorno remerò assieme a José Luis, ma la verità è che io domani sarò altrove per sempre mentre José Luis continuerà a faticare da solo.
Infatti poco dopo, mentre fuori c’è un tempo da lupi, Nelly ci accompagna ad un ballo con abiti e musica tradizionali. L’atmosfera però è abbastanza spenta e, per questo motivo, decido di essere io a ravvivarla cimentandomi per primo in ballo improvvisato. Le mie performances non sono invero dignitose, ma sono comunque sufficienti per destare anche gli altri ospiti fino a quando la serata si conclude.
La mattina successiva poi ce ne andiamo, ma senza poter salutare José Luis che è già in piedi dalle quattro del mattino ed è andato ad aiutare la cugina dall’altra parte dell’isola.
Eppure non tutto il Titicaca è nelle stesse condizioni di arretratezza:
poche miglia nautiche oltre la bella isola di Taquile offre un bell’esempio di comunità.
Il sentiero che permette di percorrere tutta l’isola è curatissimo ed è intervallato addirittura da attività commerciali. La plaza de Armas, inoltre, è sul Titicaca un po’ come la piazzetta di Capri e ospita anche la Chiesa di Santiago Apostolo. Pochi metri oltre c’è anche la fabbrica tessile del paese. Qui vivono circa duemila persone divise in comunità e lavorano tutti la lana di alpaca seguendo un metodo che è stato dichiarato “patrimonio culturale del Perù”.
A tutti i manufatti viene assegnato un numero a seconda della famiglia che li ha prodotti, dopodiché ogni lunedì tutti gli abitanti si radunano attorno ad un tavolo in pietra posto al centro della plaza de Armas e aspettano che vengano ripartiti gli utili tra le varie famiglie.
Inoltre a Taquile non manca nemmeno la scuola e ci sono anche delle palestre per giocare a calcio e a pallavolo. Insomma, una forma di sviluppo esiste anche se comunque rimane un posto dove le difficoltà non mancano: solo per tornare al porticciolo bisogna scendere per circa 530 gradini.
E, invero, forse io preferirei vivere a Taquile piuttosto che a Puno, una cittadina fin troppo caotica per i miei gusti. Quest’ultima, infatti, appena usciti dal porto, offre alcune scene di degrado che è difficile rimuovere. Mentre io e Lalli attraversiamo il mercato, ci sentiamo osservati e, in fondo, è anche comprensibile, visto che siamo gli unici europei in circolazione. Spesso la frutta e gli ortaggi sono venduti direttamente a terra senza alcun telone per proteggere il cibo, mentre la carne esposta – a volte anche putrefatta – attira dei cani randagi timorosi che qualche cliente possa ancora sottrargliela.
L’igiene da queste parti è molto relativa.
Ciò nonostante Puno è anche la città della basilica settecentesca, una basilica di cui salvo solo la stupenda facciata e davanti alla quale ritroviamo Alfredo, un messicano molto rumoroso quando parla e parimenti in sovrappeso che avevamo conosciuto nei giorni precedenti, mentre divora un rustico locale.
In fondo chi visita il Perù fa più o meno sempre lo stesso giro e non è difficile ritrovarsi.
[…] Siamo sul lago Titicaca, sul lago navigabile più alto del mondo a 4000 metri di altitudine in un isolotto al centro al confine tra Perù e Bolivia. Qui vive un’etnia ymara di lingua quechua in condizioni di grave arretratezza, peraltro senza acqua corrente, senza luce e senza bagno in casa. Perdendomi nel buio pesto della notte lungo uno dei sentieri dell’isola, ho visto il cielo stellato più bello della mia vita: le stelle sembravano grosse pepite luccicanti da raccogliere e mettere in un sacco! Su quella visione ho voluto raccontare una storia. La leggere qui José Luis e le stelle cadenti […]
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[…] Qui potete leggere il mio diario sulle isole di Amantani e Taquile, nonché su Puno. […]
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Storia toccante, bella, assurda
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E’ possibile sconfinare in Bolivia senza alcun problema?
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Assolutamente sì. C’è solo un normalissimo controllo del passaporto.
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Forza Josè Luis, tifiamo tutti per te!
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Davvero commovente.
Dei riuscito a descrivere la bellezza selvaggia delle isole assieme alle sue storie e alle sue contraddizioni. Grazie davvero.
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la storia della bacinella mi ha davvero colpito tanto!
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Sono contento di essere riuscito a raccontarla per come ha colpito in primo luogo me.
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