Governati da google

Ma è normale che a decidere il successo di ciò che scrivi sia google? E’ normale che, per avere un seguito, contino più il tempo trascorso in rete e le regolette di seo osservate rispetto al talento?

Se ricordate, nel film “L’attimo fuggente” con Robin William nei panni del professor Keating una delle scene che più colpiscono è quella in cui l’inconsueto insegnante fa strappare ai suoi studenti il brano “comprendere la poesia” di Johnathan Evans Prichard.

In detto brano si sostiene che, per scrivere una bella poesia, bisogna  fare i geometri con il metro per misurarla in larghezza e in lunghezza. Ovverosia: più la poesia è geometrica, più è bella.

Insomma, trattasi di una fesseria abnorme che meritava di essere cestinata e che tuttavia pure è stata veramente sostenuta e pubblicata da questo Johnathan Evans Prichard nella sua qualità di docente dell’università di Oxford.

E che sostiene tuttora google con i suoi algoritmi confondendo la capacità di saper scrivere con il mero calcolo.  Google premia infatti quegli articoli che sono scritti in maniera schematica, quasi standard, che vengono pubblicati a cadenza fissa e con una lunghezza di almeno X parole.  Se non ti attieni a lungo a questi principi, il tuo articolo non risulterà ben posizionato nelle ricerche.

Con questo sistema però chi vuole la sintesi e l’efficacia ( l’efficacia intesa come rapporto tra risorse impiegate e risultati ottenuti) non andrà mai da nessuna parte. Così ad esempio se google fosse esistita decenni prima, Ernest  Hemingway – che odiava le parole superflue – o i poeti ermetici ( Montale, Quasimodo, Ungaretti) sarebbero stati condannati all’oblio.

Domanda: perché chi esprime un concetto in 15 parole è meglio di chi  sa farlo in 3 parole, magari con la stessa o anche con miglior resa? Tutto ciò non ha logica!

Per questo google dovrebbe interrogarsi sui suoi algoritmi.

Seguendo le sue regole – e, chi scrive, per opportunismo non si sottrae – infatti il mondo è destinato ad appiattirsi creando nocumento all’estro, alla fantasia, all’inconsueto per omologarsi alle “parole chiave” ripetute all’infinito, al rispetto dei canoni predeterminati e al conformismo.

Per questo chiedo: non è forse arrivato il momento di creare una setta dei poeti estinti anche in rete?

Ossequi.

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