“Forno a legna”, “orto” e “presidio slow food” sono le parole chiave che ho sempre visto associare alla pizzeria Vaccaro e che mi hanno indotto ad organizzare la trasferta a Tramonti, un paese in cui per tradizione il numero dei pizzaioli supera quasi il numero degli abitanti.
Il locale, che è anche un tipico bar di paese in cui trascorrere i rigidi e solitari inverni tramontini, per quanto rustico, appare da subito molto accogliente grazie alla affabilità dei proprietari.
Per il resto, tutta l’attesa si concentra sulla pizza, attesa purtroppo resa assai estenuante cui i pizzofili moderni non sono più abituati.
Il prodotto finale, in ogni caso, si rivela da subito molto “generoso” e pieno di “roba” così come traspare dalle foto.
Sia chiaro: roba dell’orto, mica pizza… e fichi!
Si tratta cioè di roba genuina che, come si dice oggigiorno per fare i fighi, è veramente a chilometro zero ed è un lusso per una pizzeria.
Ciò fermo restando, sebbene il disco sia molto piatto, l’impasto appare ben lavorato e tutto sommato ben cotto, segno che chi ci ha messo mano fa questo da una vita.
E, allora, qual è il problema?
Il problema è che per me è stata né più né meno di una delle tante pizze che si possono mangiare in costiera amalfitana, una pizza standard che non mi ha colpito particolarmente e che non ha giustificato la deviazione rispetto ad una qualunque altra pizzeria della zona.
L’ho trovata troppo “tosta” e poco digeribile, tanto è vero che – dopo 12 ore – sono qui a scrivere la recensione e ce l’ho ancora “inchiommata” sullo stomaco.
Inoltre sinceramente i prezzi sono risultati essere sproporzionati rispetto al contesto in cui si trova.
Insomma, per farla breve, Tramonti mi ispira per tante prelibatezze culinarie, ma alla pizzeria Vaccaro non tornerei appositamente.