E’ bella la notte di Praga.
La musica improvvisamente cessa, il Moldava riflette la luce dei palazzi, il ponte carlo si svuota e il vento gelido induce i pochi passanti ad alzare il passo facendolo scandire dal ticchettio dell’Orologio.
La gente se ne sta rintanata tutta nelle taverne, bevendo litri di birra e divorando carne in quantità. I poveri animali nemmeno da morti se ne stanno in pace e vengono serviti su un vassoio con dentro un coltello che li attraversa da parte a parte. Per la verità sul vassoio c’è anche qualche verdura di accompagnamento, ma serve solo per bellezza. Col freddo che fa le verdure non scaldano certo.
Eppure Praga di notte è davvero bella. Bella come può esserlo solo un disegno quadrimensionale e un incontro coi pensieri.
Ogni metro è un ricordo, un flashback, una sensazione.
E si fanno strani incontri.
Kafka sale sul predellino di una rolls royce e, senza profferire parola, mi fissa negli occhi inquieto. E’ magro, algido e austero. Sembra voler chiedere aiuto, ma non lo saprò mai: improvvisamente apre lo sportello, fa dare gas all’autista e sparisce in una nuvola di fumo.
Più avanti ci sono i carri armati con la bandiera rossa. I loro cingoli sembrano voler stritolare persino l’aria, ma possono fare ben poco di fronte a centinaia di migliaia di persone che urlano il nome “Jan, Jan, Jan” ritmando un canto di battaglia.
Vogliono abbattere un muro che non è in questa città e ho la sensazione che ce la faranno.
E’ bella la notte di Praga e la birra dentro al boccale ha il sapore della rivoluzione.
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