- Diario del cammino di Santiago 2019 – Seconda parte – Da Sarria a Santago
Quanto segue è la seconda parte della cronistoria del mio ultimo cammino. La prima parte del racconto riguarda il tratto, che ho percorso in solitaria, da Astorga a Sarria, puoi leggerla cliccando qui.
Di seguito invece scriverò di Sarria – Santiago.
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Sarria – Portomarin
Sarria, al mio arrivo, è in piena baraonda agostana. Gli albergues sono tutti pieni, i turigrini si muovono in squadroni, le società di trasporto degli zaini e dei trolley ( SIC!) lavorano a pieno regime e l’atmosfera vera e autentica del cammino sembra essere finita. Da qui in poi inizia infatti un altro cammino con meno condivisione e più strafottenza in cui arzille signore, con notevole spirito di competizione, sorpassano la chiunque, ma ovviamente facendosi trasportare il trolley da altri, altrimenti si affaticherebbero!
Non voglio però demonizzare Sarria in quanto tale: Sarria è infatti una cittadina gradevole con un bel centro vivace. A Sarria anni prima avevo conosciuto Mattia, un romagnolo che si era trasferito qui aprendo il bar Matias Locanda Italiana. Mi aveva raccontato delle difficoltà burocratiche che aveva incontrato e del suo sogno realizzato. Ho scoperto però che non c’è più. Apprenderlo mi è dispiaciuto.
In ogni caso a Sarria ritrovo Alberto ed Alessia: con loro dormo in camera privata e vado a mangiare bistecconi al ristorante. Insomma, è ufficialmente iniziato il cammino comodo anche per me!

L’indomani, infatti, la tappa inizia con moooolta calma, praticamente dopo le 8. Roba da non crederci anche solo un giorno prima. Per me, in ogni caso, è una manna dal cielo, visto che ho fortissimi dolori ai piedi e mi tocca percorrere la tappa con le ciabatte. Tra l’altro il percorso, di per sé è molto facile, anche se reso ostile da frotte di turigrini che in massa ci precedono e ci seguono. Sembra quasi una processione che travalica il senso del ridicolo quando si creano le file per farsi mettere il timbro sulla credenziale o bisogna fermarsi ad uno dei tantissimi bar presenti sul cammino.
La nota ilare però arriva quando conosciamo un ragazzo brianzolo partito con la parrocchia e rivela che il giornale che ha nello zaino è Milano finanza.
Perché accidenti un ragazzo di 18 anni legge Milano Finanza sul cammino di Santiago? Mentre me lo chiedo, superate Barbadelo e Ferreiros, la strada inizia finalmente a scendere preannunciando il fiume Minho e Portomarin.
Qui, in prossimità di una strettoia, vengo superato da una sessantenne che – senza alterare il suo ritmo incalzante segnato dai bastoncini – mi rimprovera per le mie calzature non adeguate. Dannata turigrina, almeno prova ad indossare uno zaino pure tu, prima di fare l’esperta con me!
Portomarin, in ogni caso, è un paese che a me piace particolarmente. Tra quelli degli ultimi 100 km è sicuramente il più scenografico per via della insenatura del fiume Miño che fa di Portomarin un porto naturale in cui le barche possono trovare riparo. L’origine del paese è tutta legata al ponte romano e a quello successivo medievale che permettevano di attraversare in questo punto il fiume. La nota di colore è che nel 1962, in occasione della costruzione di una diga, tutto il paese venne spostato in alto e persino la chiesa romanica di San Nicola, costruita dall’Ordine dei cavalieri ospitalieri di san Giovanni di Gerusalemme, venne smontata pezzo per pezzo e ricostruita altrove.
Tanto è vero che ancora oggi, sulle pietre, sono ancora visibili i numeri scritti all’atto dello smontaggio in modo da poterla ricostruire poi correttamente. Al lato della Chiesa vi è tra l’altro una bella statua di Santiago con la mano protesa. Qui, nel 2015, mi feci una fotografia in cui sembrava che San Giacomo mi stesse dando una sberla, stavolta invece ho preferito farmi dare una carezza.
In ogni caso Portomarin è diventata un parco giochi pellegrino. Tanto è vero che vi troviamo una improvvisata band di paese che suona musica tradizionale celtica fornendoci l’occasione per vedere la gente ballare con una birra in mano. Come accidenti fanno coloro che hanno fatto la tappa odierna a trovare le energie per ballare? Io, detto in soldoni, sono zoppo e con un bastone in mano, però mi diverto lo stesso a osservare.
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Portomarin – Ligonde
La tappa odierna è brevissima, talmente breve che si conclude quasi con le chiacchiere di una signora di Valencia talmente assorta nella conversazione da dimenticarsi della sua famiglia, rimasta indietro, e costretta per questo a fare retromarcia per rintracciarla. La tappa – dicevo – è breve essenzialmente per un motivo: a Ligonde c’è la fuente del peregrino, un albergue gestito da evangelici in cui anni prima avevo vissuto una bella esperienza. Praticamente ci sono più volontari che pellegrini e l’ambiente è molto spartano, ma c’è comunque tutto ciò di cui si può avere un bisogno. In particolare tra i volontari c’è un ragazzo egiziano che avrà 14 anni e si chiama Miciu. Nei pochi momenti in cui rimaniamo da soli, nel suo spagnolo stentato e non so per quale motivo, mi racconta che 8 mesi fa è dovuto scappare dall’Egitto assieme a suo padre in quanto cristiano. Sua madre, invece, è dovuta rimanere lì perché, per non farla scappare, le hanno revocato il passaporto.

Mi racconta anche che sua madre ha il volto sfregiato perché dei musulmani le hanno lanciato dell’acido quando camminava per la strada. La storia poi diventa ancora più terribile quando aggiunge che in Egitto stavano economicamente abbastanza bene, ma la sua famiglia ha dovuto abbandonare tutto e si è trasferita a Bilbao accontentandosi dei lavori più umili. Dice -sempre Miciu – che anche lui vorrebbe lavorare, ma ha paura di capitare assieme ad altri egiziani musulmani.
Sono queste di fatto le storie di vera discriminazione, storie però talmente scomode da essere raccontate troppo poco. La storia di Miciu infatti è davvero assurda e mi intristisce non poco. Tanto più che è Miciu a prepararmi il letto e a mettersi a disposizione per ospitarmi. Deve essermi di insegnamento!

Non merita invece la stessa attenzione la permanenza alla fuente del peregrino in sé, visto che è tutta intervallata da un tentativo costante di “lavaggio del cervello” – persino a cena – da parte dei pastori evangelici americani con toni fastidiosi e argomentazioni da far ridere i polli. Tanto più, ed è questo un grosso rammarico, che tra i volontari c’era un signore delle Canarie molto simpatico con cui avevo iniziato a parlare piacevolmente nel giardino, ma proprio a cena siamo stati interrotti dal pastore americano, che si è piazzato in mezzo, e ha iniziato a bombardarmi senza tregua in un 1 contro 1. Nell’albergue, in ogni caso, ci siamo noi tre, una milanese stramboide con tenda al seguito, due olandesi, un’inglese malaticcia e due romanari che è meglio perderli che trovarli.
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Ligonde – Boente
La paura odierna è che piova, per cui riusciamo ad uscire ad un orario accettabile. Ligonde, d’altra parte, non ha da offrire molto di più oltre al canto del gallo, al lamento delle mucche e ai loro ricordini presenti sul tracciato. Stanotte abbiamo dormito di fatto in un garage con la porta che lasciava filtrare gli spifferi e zanzare – posatesi chissà dove ( bleah!) e in grado di farci compagnia ogni volta che volevano – ma non è stata una nottataccia. Anzi, finalmente sono riuscito a dormire 8 ore di fila.

La tappa poi è piacevole e almeno fino a Palas de Rei, dove ci fermiamo nella chiesa romanica de Vilar de Donas famosa per un crocefisso ligneo in cui Gesù tende la mano, non pone particolari problemi. Dopodiché, in prossimità di Melide, si scatena la pioggia che ci induce ad accelerare il passo.
A Melide, in ogni caso, ci fermiamo a mangiare per il classico pulpo ( purtroppo anche quello di Ezequiel, diventato ormai penoso e di scarsa qualità). Dopodiché proviamo a proseguire per un po’

Lungo il cammino, incrociamo anche un gruppo di turisti che – tramite agenzia – seguono il cammino facendo dei piccoli tratti a piedi. Tra questi c’è una signora toscana antipaticissima che chiede aiuto ad Alberto per attraversare un ponticello su un fiume e poi parte a razzo. Il tempo di fare una foto infatti e poi non la vediamo più! Quando – venti minuti più tardi – la rintracciamo, mi vien naturale scherzare sulla sua velocità e la signora dimostra pure di stare al gioco. Poi, quando arriviamo a Boente e cerchiamo una posto per dormire in una struttura, ci rifila la seguente frase: “avete letto il cartello che qui c’è la piscina gratis e i napoletani, quando leggono la parola gratis, ci si fiondano subito”. Le avrei dato a questo punto una testata molto volentieri, ma non l’ho fatto. Anzi, ho preferito iniziare a sfotterla. Dopodiché mi sono eclissato.
Sta per iniziare a piovere di brutto, ma è il nostro giorno fortunato. A Boente, proprio di fronte alla chiesetta di Santiago, vi è un albergue di nuova gestione con persone fantastiche. Si chiama la Fuente de Saleta e ha tutto ciò che può desiderare un pellegrino infreddolito. Il proprietario Fernando, più in particolare, ha un senso dell’accoglienza tipicamente galiziano. Parla, scherza, si mette a disposizione e ci offre pure vino, liquori e mele di sua produzione!
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Boente a Brea
Quando smette di piovere in Galizia…e poi ricomincia
In questo cammino non ho fatto grandissimi incontri. Anzi è l’unico cammino in cui non ho stretto un nuovo legame. E’ anche vero però che l’utenza del cammino sembra essere cambiata: non più viaggiatori solitari alla ricerca di se stessi, ma gruppi più o meno organizzati non più giovanissimi. Il mutamento ontologico del cammino si vede infatti sin dalla sua epidermide. Tra gli incontri fugaci più divertenti ricordo però quello con due ragazzi della provincia emiliana che mi parlavano con orgoglio del parmigiano reggiano e del fatturato annuo della Barilla.
Dopo il ragazzo che legge Milano Finanza, è il secondo incontro con diciottenni che amano conversazioni non proprio da cammino di Santiago. Cosa mai mangeranno nella pianura padana? Intanto il fiumiciattolo di Ribadiso ci segnala che abbiamo già fatto 8 km da stamattina e ci invita ad una piacevole sosta in un bar. A me Ribadiso piace molto, probabilmente perché il fiumiciattolo fu per me salvifico per i miei piedi nel corso del primo camino. Non mi piace invece per nulla Arzua, paesone cresciuto troppo alla svelta e che – al pari di Melide – ha fatto venir meno l’incanto di angoli affascinanti che pure resistono.
Dopo Arzua però il tempo si scatena nuovamente e non ci risparmia per un secondo. La fitta ed interrotta pioggia galiziana non perdona: ti svuota. E’ così a partire da Salcedo che inizio a chiamare al telefono per avere un posto per dormire, ma la ricerca è vena: tutti gli albergues, ed è ancora mattina, sono infatti pieni. Anche questo è un sintomo del peggioramento del cammino: ci sono troppi turisti e pochi pellegrini! E’ così che, arrivato quasi alle porte di Santa Irene, in una località che si chiama A brea, noto un’insegna con il nome di una struttura che avevo provato a contattare. Anche qui il proprietario, che parla uno spagnolo molto stentato e non sembra affatto molto sveglio, mi dice che è tutto pieno. Poi ci ripensa ed esclama: “ci sarebbe una stanza, ma è in ristrutturazione….”. Poco importa, la prendiamo, ma c’è un altro problemino: il proprietario non trova la chiave per entrare.

Così, dopo averci fatto attendere nel bar/sala da pranzo ( in cui, in pieno agosto, ordino una cioccolata calda!) e aver vanamente provato a contattare telefonicamente la moglie, il tizio in questione esce, sale sulla macchina e se ne va alla ricerca della stessa. La scena è tragicomica: piove a dirotto, fa freddo e siamo rimasti da soli. Così Alberto – più per gioco che per necessità – inizia a spillare birra tra le risate. Risate che hanno il loro culmine quando alla porta bussano due polacchi infreddoliti e noi, per pietà, li facciamo entrare facendo gli onori di casa. Gli stessi, del resto, capendo subito la situazione, iniziano a sganasciarsi pure loro. Idoli!
Quando il tizio finalmente ritorna con la moglie al seguito, arrivano pure le chiavi per accedere alla stanza. Nella struttura ci sono anche altri due romani che sembrano usciti dal film “I nuovi mostri” di Monicelli e che pure è meglio perderli che trovarli. Tanto è vero che a cena i polacchi, nel congedarsi, ci salutano dicendo che è stato un onore trascorrere del tempo con noi tre, ma ignorano invece del tutto i romanari. Rido a crepapelle.
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Brea – Santiago
Piove o non piove? E’ con questo dubbio che ci affanniamo verso la meta. E’ tappa vera, talmente vera che mi spiace non arrivare a Santiago a prima mattina, quando la piazza non è ancora un parco giochi ed è lasciata agli occhi dei pellegrini. Comunque non piove, se non per brevi momenti, e possiamo attraversare quasi “illesi” il bel bosco dopo Santa Irene. Dopodiché, dopo Arco do Pino, tocca affrontare il Monte de Gozo e poi, una volta reso omaggio a Giovanni Paolo II – che qui rilanciò il cammino ormai trenta anni fa – arriviamo alla periferia di Santiago. Qui compro delle caramelle gommose e poi inizio ad accelerare: la Cattedrale mi chiama. Quando sto ormai per arrivare, inizia quindi a piovere: l’Apostolo ci ha permesso di arrivare risparmiandoci la pioggia lungo il cammino, ma ora il cielo deve scaricare. In prossimità della piazza ritrovo anche Michele, un ragazzo bresciano che avevo conosciuto a Molinaseca ed era partito da San Jean. Mi ci fermo a parlare per un minuto, poi tutte le mie attenzioni si concentrano sulla Cattedrale.
E sulle caramelle gommose che finalmente posso mangiare. E sulla birra con Alberto. E ancora sulla Cattedrale.
Piove, fa freddo, mi toglierei volentieri gli scarponi, ma sono felice. Quasi come la prima, la seconda, la terza e la quarta volta. La Cattedrale più bella del mondo è infatti davanti a me, anche se sono costretto a guardarla da lontano sotto ai porticati del Comune. Tra i tanti turisti scorgo anche dei pellegrini partiti da lontano. Li riconosco perché hanno la luce negli occhi. La luce di chi ce l’ha fatta, ha una gioia interiore assoluta, ma si sente smarrito. A tal punto che la domanda che ha dentro di sé è : ” e ora?”
Santiago è cambiata rispetto a quella che era. E’ diventata meno paesana e più internazionale, meno pellegrina e più turistica. Tutte le strutture sono infatti piene, sembra quasi non trovarsi un buco per dormire. Per entrare in Cattedrale, per andare sulla tomba di San Giacomo e per dare il tradizionale abrazo al apostol bisogna poi sottoporsi a file estenuanti. Bisogna fare una fila estenuante anche per prendere la compostela. Eppoi, per vedere il portico della Gloria, bisogna prenotare e pagare. Tanto è vero che non riusciamo a farlo: per oggi non è possibile. In ogni caso scorgo tra la folla James – il ladro di wurstel inglese – e ci salutiamo. Bello ritrovarlo anche se solo per un attimo. Il momento che più ho apprezzato della mia permanenza a Santiago è stato però l’incontro con Don Fabio, capace sempre di farmi uscire dalla messa con una riflessione in più. Ho apprezzato anche la partita a ping pong con mia sorella davanti alla Cattedrale, ma questa è un’altra storia che fa parte del “parco giochi”.
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Cosa ho imparato dal mio quinto cammino?
Niente, assolutamente niente di diverso. Ogni cosa ti dà per come la si vive e questo cammino è stato emotivamente meno intenso rispetto ai precedenti. E’ cambiato il cammino o sono cambiato io? Non lo so, mi piacerebbe saperlo, ma semplicemente non lo so. Il cammino infatti ti dà quel tempo per riflettere che non abbiamo nella vita ordinaria, ma la riflessione non porta sempre alle soluzioni. Vorrei per questo smetterla di riflettere tanto e avere qualche soluzione immediata in più. La bellezza del cammino è infatti che tu con un passo in avanti fai effettivamente un passo in avanti. Non indietro, non a destra, non a sinistra, ma in avanti. Dunque ti avvicini, anche se solo di pochissimo, sempre più alla meta. Nella vita ordinaria tutto ciò non avviene. Spesso le frecce indicano infatti la direzione sbagliata, depistano, confondono, scoraggiano.
Di questo cammino mi porterò dietro esclusivamente dei bei momenti: a) l’emozione che mi ha regalato nuovamente la Cruz de Hierro; b) Il bagno nel fiume a Molinaseca e l’allegria paesana di una sua taverna; c) La scalata sul Cebreiro; d) la forza di volontà che prevale sui dolori fisici; e) la Cattedrale di Santiago, il mio posto del cuore; f) La partita vinta con mia sorella a ping pong, perché è sempre bello umiliare le schiappe.
Ma qual era il problema delle tue scarpe?
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Nessun problema alle scarpe. Il problema sono i piedi….che non posso cambiare (sic!)
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No, ma la signora che ti ha ripreso, non capisco cosa potesse darle fastidio.
Forse i sandali?
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Sì, esatto. Sosteneva che era avventato andare coi sandali!
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Durante un cammino religioso non si possono offendere le persone, ma in questo caso forse si poteva fare una piccola eccezione
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ahahahah, ma no! Durante il cammino si incontra di tutto, ovviamente persone simpatiche, antipatiche, buone, cattivo e persino chi ( PURTROPPO!) lo fa solo per fare dell’attività fisica con spirito agonistico.
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