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Alcune riflessioni

Ho lasciato trascorrere qualche giorno prima di scrivere le mie impressioni sulla via francigena. Ciò è stato infatti necessario al fine di elaborare bene i miei pensieri e per cercare di capire il senso di quello che ho fatto: dopo quasi 3 anni senza cammini, avevo davvero bisogno di rivivere certe emozioni e di sentirmi vivo come solo un cammino mi consente. Stavolta l’ho fatto percorrendo un “breve tratto” della via che i pellegrini utilizzavano anticamente per raggiungere Roma da Canterbury ( ma anche dalla Francia, dalla Spagna, dalla Germania, della Svizzera e dall’Europa del Nord) e devo dire che, nonostante la durata limitata dell’esperienza, le giornate sono state tutte molto intense e formative. A tal punto da “ritrasformarmi” immediatamente in un pellegrino e farmi vivere con disagio il ritorno alla civiltà.

Pur essendomi fermato a Bolsena ed essendomi mancato l’obiettivo della meta ( Roma), ciò mi ha consentito di assaporare una Italia diversa che non conoscevo, una Italia lenta e genuina che siamo abituati a oltrepassare a tutta velocità e che invece resiste al passare del tempo. Questa Italia, grazie alla sua umanità, mi ha fatto capire che anche nel Belpaese, se si vuole, è possibile creare un “modello di accoglienza” che è proprio del cammino di Santiago e ridonare all’Europa un’altra delle antiche “peregrinationes maiores” che stupidamente abbiamo smarrito.

Cosa manca alla via francigena, dunque, per essere una esperienza pari a quella del cammino di Santiago ? Sicuramente non la bellezza dei panorami né la suggestione dei luoghi attraversati. Oltre a qualche carenza dal punto di vista organizzativo, ciò che manca veramente è il riconoscimento generale dello status di “pellegrino”.

Rammarica soprattutto che gli ecclesiastici – salvo rare eccezioni – si disinteressino a rendere più profonda e partecipata la peregrinatio. Emblematico per me è stato l’episodio occorsomi a San Quirico D’orcia, dove le suore filippine – dopo aver riscosso l’obolo con addirittura la tassa di soggiorno – mi hanno addirittura chiesto cosa stessi facendo. Sinceramente è una domanda che mi ha lasciato molto interdetto!
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La prima tappa

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Siena – Ponte D’Arbia, 26 km
Il mio viaggio è iniziato di notte su un autobus per raggiungere Siena alle prime luci dell’alba. Una volta arrivato, dopo aver fatto un giro per il centro storico di questa celebre cittadina e essere entrato in Cattedrale, ho dato inizio al mio cammino attraversando piazza del campo e oltrepassando l’antica porta romana.
Da qui è iniziata una bella passeggiata connotata da un saliscendi lungo stradine impreziosite dalla presenza di eleganti villette e case di campagna. Il colpo d’occhio sulla campagna senese è, infatti, davvero notevole e – oltre ai colori tipici della Toscana – regala alle mie spalle anche la vista della Cattedrale e della torre del Mangia che, anche a chilometri di distanza, non sembrano voler sparire.

Dopodiché, dopo una lunga discesa, si arriva in una zona industriale abbastanza antipatica e caratterizzata dalla presenza dell’asfalto.
Il fastidio dura però poco, perché – dopo circa 2 km – un’altra bella collina ridona agli occhi la meraviglia della campagna senese. Per diversi chilometri, infatti, ci si immerge in campi coltivati, stalle e prati fioriti ideali per rifocillarsi e fare una sosta tecnica.
Qui – dopo aver divorato i miei panini – incrocio anche altri due pellegrini, che saluto, per poi proseguire lungo i campi.
A dire il vero, vado anche in affanno: il sole è molto forte e non ho più acqua a disposizione.
Per questo motivo esco dalla via francigena e vado alla ricerca di un bar. Il mio è un errore tattico che si rivela subito letale, perché – dopo aver bevuto una coca cola – non riesco più a rientrare nel percorso ufficiale e, fino a Ponte d’Arbia, mi tocca camminare sull’asfalto.
E’ la mia rovina: le vesciche – le maledette e immancabili vesciche mi fanno compagnia ad ogni cammino – tornano a farmi visita e rendono agonizzanti gli ultimi tre chilometri prima della destinazione finale.

Qui l’ospitale è lasciato praticamente all’autogestione dei pellegrini e a darmi il benvenuto è un pellegrino di Roma che è partito ( e quindi è arrivato) molto prima di me. Nella struttura ci sono, inoltre, due signore di Trento e due bresciani per nulla simpatici.
Per fortuna c’è anche Adrienn, una ragazza ungherese dalla bella parlantina che – per l’esuberanza – mi ha ricordato l’incontro con Lourdes che feci nel corso del mio primo cammino.
Ci sono, infine, anche i due pellegrini che avevo incrociato stamattina, una coppia di tedeschi che è partita da Aosta e che ama particolarmente i viaggi “zaino in spalla” senza stress, con i quali andiamo a cenare nel vicino ristorante “Al ponte”, una trattoria familiare che non merita di certo di essere ricordata, ma che risulta essere più che dignitosa per dei pellegrini affamati.
