Viaggio letterario in USA

Viaggio letterario in USA – prima parte


Dopo il viaggio di nozze, i viaggi che sono seguiti in USA, fino a completare la
scoperta di tutti i 50 stati, sono stati a tema, preparati con cura per visualizzare le
curiosità che avevo letto, che avevo visto nei film e nei documentari o alla ricerca di
persone sconosciute, ma che ho amato profondamente.


E’ stato in sintesi un viaggio per scoprire le case dove sono nati i miei scrittori
preferiti,
i luoghi dove hanno vissuto e scritto, spesso anche dove dormono per
sempre. Viaggi alla ricerca dei luoghi che avevo solo immaginato fra le righe di
capolavori della letteratura americana e mondiale, di immagini tratte da film, di
strade che sono diventate simbolo di libertà e di anni straordinari. Un viaggio fra
grandi città con grattacieli e monumenti visti e rivisti, ma anche alla ricerca di piccoli
paesi dimenticati, teatro di battaglie fra nord e sud, fra indiani e cowboy o della corsa
all’oro, fino ai paesi fantasma abitati solo da asinelli.


Salterò da uno stato all’altro senza continuità, a secondo del “tema” che ho cercato
e visto, pur se sono certa di dimenticare qualcosa, spero di farvi appassionare alle mie
passioni.
Comincio con gli scrittori, amici fondamentali nella mia vita. Quelli che ho amato di
più erano già morti quando li stringevo fra le mani e divoravo le loro parole, e mi
sembrava dunque il minimo pianificare un viaggio alla loro ricerca.


E il New England è il primo posto dove sapevo di incontrarli.
A Concord,
nel Massachusetts, c’è una casa georgiana con un ampio giardino e il
fiume alle spalle, dove si sono susseguiti scrittori illustri, da Ralph Waldo Emerson
a Hawthorne e Thoreau. Visitarla è stato come entrare in un caffè letterario d’altri
tempi. Libri, scrittoi e vecchie tappezzerie intrise di cultura. Poco lontano, ai limiti di
un bosco, circondata da alberi di mele, c’è la casa degli Alcott, dove Louisa May
visse e scrisse Piccole Donne. Visitare quella casa grigia e austera, dal grande salotto
con le tazze di porcellana ancora visibili nella credenza, la fuligginosa cucina e la sua
stanzetta scarna con la scrivania davanti alla finestra, mi ha inaspettatamente
commossa. Dopo tanti anni dalla fanciullezza, non sapevo fosse cosi vivo il ricordo
di quel libro.
Prima di lasciare Concord, una visita allo Sleepy Hollow Cemetery, un cimitero
vastissimo in un bosco. Ci si può entrare in macchina e dopo curve e rettilinei, su una
leggera altura, all’ombra di alte piante ci sono le tombe di tutti gli scrittori che hanno
abitato le case che ho visitato. Tutto vicini anche nella morte, semplici lapidi in
granito con solo il nome scurito dal tempo. Quella di Louisa May Alcott la riconosci
subito perché sul terreno sono seminate penne, monetine e fogli di carta lasciati dai
visitatori, magari aspiranti scrittori. Pochi fiori di campo raccolti nei paraggi, e
nessuna luce eterna. Ci pensa il sole che occhieggia fra gli alberi a far brillare le
monetine sparse sulle tombe.
Anche io ho frugato nella borsa e ho voluto lasciarle un regalo, una piccola matita.

Sulle tracce di Moby Dick


La casa di Melville si trova a New York, ma di lui volevo vedere i luoghi che hanno
ispirato Moby Dick, il libro che mi ha fatto amare le balene e odiare chi le ammazza.
Non è solo un libro di avventura, ma un trattato vero e proprio su questi mammiferi
del mare. Anche se la balena bianca in realtà era un capodoglio, è un libro sul bene e
sul male, sul sacro e profano. Una storia meravigliosa che mi ha portato a New
Bedford, Massachusetts, un antico porto baleniero dove anche Melville si
imbarcò come marinaio e prese molti spunti per scrivere il suo romanzo
. In
questa cittadina marittima c’é un museo sulle balene e di fronte una Cappella. Qui i
marinai assistevano alla messa prima di imbarcarsi ( nel libro Melville dedica interi
capitoli su New Bedford e la Cappella dei marinai, descrivendo minuziosamente
l’interno e il pulpito a forma di prua di nave, da dove il Reverendo Mapple impartiva
la sua predica).
La sera abbiamo cenato in un caratteristico ristorante portoghese, rustico e con vecchi
tavoli, e sarà stata la visita al museo, sarà stata la stanchezza, ma giurerei che un
anziano marinaio con la barba bianca, seduto al tavolo di fianco, si facesse chiamare
Ismaele.
Il giorno dopo si parte per Cape Cod e da lì si traghetta per Nantuchet, il porto da cui
salpò il Pequod, la baleniera del romanzo Moby Dick. È un’isoletta piccola e ventosa,
con strade acciottolate, belle case di vacanza e suggestivi fari. In alcuni punti si
respira ancora un’aria di vecchi tempi, di baleniere e marinai con gambe di legno. E il
giorno dopo, a Cape Cod, sulla punta della penisola, in un pomeriggio freddo e
grigio, abbiamo visto gli sbuffi di due balene franche. Tutto perfetto per risultare
indimenticabile.


Le balene le ho viste anche a Gloucester, sempre in Massachusetts, prima di partire
per Salem, la città delle streghe, e dove nacque Nathaniel Hawthorne.
La sua casa natale è stata trasformata in un museo, accanto c’è una casa grigia e tetra,
che ispirò lo scrittore per il suo romanzo La casa dei sette abbaini. Si possono fare
visite guidate e fuori il giardino è ingentilito da fiori, così che quando esci da
quell’edificio la vista dell’esterno ti leva di dosso la strana inquietudine che ti si
appiccica addosso. Ma il senso di disagio lo avverti comunque in tutta la cittadina,
che non si scrolla di dosso i suoi processi alle streghe, con negozi a tema e cappelli a
punta.
Dicono che anche un antenato di Hawthorne facesse parte del processo contro le
streghe e che lo scrittore rinnegò i suoi parenti e odiò per sempre Salem e il
puritanesimo dei suoi abitanti. Fu con questo stato d’animo rancoroso che incominciò
a scrivere il suo più famoso romanzo, La lettera scarlatta.

A casa di Emily Dickinson

Il giro degli scrittori nel New England continua ad Amherst, nella triste casa di
Emily Dickinson, nonostante sia grande e luminosissima, avvertivi in quelle
essenziali sale la severa solitudine della scrittrice e i rapporti conflittuali con la
famiglia. Al primo piano, prima di entrare nella sua camera, la sua prigione visto il
tempo che ci trascorreva nonostante la casa sia circondata da un grande parco, c’è una
teca con un suo vestito. È un vestito castigato, chiaro, con pochi fronzoli, ma la cosa
che più mi ha colpito è la misura. La Dickinson doveva essere piccola e minuta,
troppo piccola per contenere tutta la sua grande malinconia
.


Nel Vermont, sulla strada per Middlebury, c’é un bosco sulla sinistra, un piccolo
piazzale per parcheggiare e un bagno chimico. (In America non avrai mai problemi di
trovare un bagno o di andarci senza consumare in qualsiasi bar o fast food). È il
Robert Frost Interpretive Trail ed è dedicato al poeta Robert Frost, che ha scritto
molte poesie sulla natura. Lasciata la macchina al posteggio, si attraversa una
passerella di legno sopra il piccolo ruscello che costeggia un lato del bosco e già ti
senti in pace. All’entrata si segue un sentiero circolare impreziosito, in punti
meritevoli, da targhe con le poesia di Frost. Fra lo scricchiolio delle foglie secche e il
chiacchiericcio degli uccelli, si arriva ad un bivio, una strada costeggia il ruscello,
l’altra si addentra nel bosco, e qui si trova la targa con incisa la più bella poesia di
Frost “La strada che non presi”. La poesia è una riflessione sulle scelte, come nel
bivio che lo ispirò, e di come la vita può cambiare se scegli una cosa, una strada
anzichè l’altra e non avrai mai la prova di cosa sarebbe successo se avessi scelto
l’altra. In questo bosco, invece, hai la rara possibilità di percorrerle tutte e due, di
vedere il paesaggio sia del fiume che del bosco perché questa strada è un circuito
circolare. Ho amato questa seconda possibilità, io avevo scelto il sentiero che
costeggiava il ruscello, e già dai primi passi, non sapendo che ci sarei passata al
ritorno, mi chiedevo cosa avrei visto se avessi scelto l’altro sentiero.
Quell’anno, girovagando alla ricerca dei mie scrittori nel New England vestito
d’autunno, fra foglie di mille colori, chiese con i tetti bianchi e campanili aguzzi,
fienili rossi, laghi calmi e montagne dai forti contrasti, fra il profumo di torte di mele
e case con vasi di crisantemi gialli e zucche arancioni, a copiare il colore delle foglie,
ho visitato anche le Università più famose d’America, Harwad, Yale, Brown,
Dartmouth ed è stato subito l’Attimo Fuggente.


Ma non si può lasciare il New England senza percorrere le coste del Maine, contare i
fari, capire perché Edward Hopper li amava e li immortalava. Ce ne sono tantissimi,
a picco su scogliere dove si infrangono le onde di un Oceano sempre agitato. Si
incontrano anche spiagge lunghissime di sabbia sempre bagnata, dove si può
passeggiare con il cane o con i propri pensieri. Ho amato molto il Maine, una natura
aspra, marinara. La gente vive in simbiosi con quel mare turbolento, lo vedi dalle
facce bruciate dal sole e dalle aragoste che costano come alici. Buonissime e con il
guscio morbido. Fra cene a base di zuppa di vongole e aragoste fin nel panino,
abbiamo risalito la costa fino all’Acadia, un altro bellissimo National Park su al nord,
al confine con il Canada.

Yellowstone

Il più bello dei National Park, che se anche non sai quanti siano, nella fantasia di
chiunque resta il più immaginato e desiderato, è lo Yellowstone. È un parco naturale
enorme, con alte montagne e infinite vallate, profondi canyon e scroscianti cascate,
con pozze dai bordi variopinti che racchiudono acqua bollente, trasparente e
invitante. Nonostante il vapore che aleggia in superficie e le transenne che le
delimitano, nonostante in alcuni punti la vedi quasi bollire, vorresti toccare
quell’acqua chiara, sulfurea, persino tuffarti fino a scoprire dove finisce, al centro
della terra.


Il vapore è una costante a Yellowstone, soprattutto la mattina presto quando ti trovi
a percorre la strada a otto che ti permette di vedere tutto il parc
o. Viaggi fra geyser,
fumarole e solfatare e il paesaggio spesso è surreale, infernale, così sorprendente che
ti rapisce l’anima. Il Parco si trova principalmente nel Wyoming, ma sconfina
nell’Idaho e nel Montana. Puoi entrare e uscire da cinque punti, io sono entrata una
volta dalla cittadina di Cody, dopo aver visto al tramonto un incredibile rodeo e
pernottato in un vecchio albergo dove pare abbia dormito William Frederick Cody,
chiamato Buffalo Bill, e per ben due volte dall’entrata più spettacolare, la sud. Per
arrivare a quell’ingresso attraversi un altro parco emozionante, il Gran Teton N.P., le
cui alte vette ti accompagnano sulla sinistra fino a incontrare il visitor center di
Yellowstone.
Mentre percorri le strade del parco, puoi essere affiancato da bisonti o fermarti per far
passare orsetti disubbidienti
mentre la mamma, guardinga, li aspetta dall’altra parte
dell’asfalto. Va da sé che non puoi scendere dall’auto, finestrini chiusi. A volte
succede che noti tante macchine ferme, e allora sai che puoi vedere in lontananza
solitari grizzly, enormi nonostante la distanza. Devi sempre avere un binocolo nei
parchi, ma se non ce l’hai, e io non lo avevo, gli americani ti prestano volentieri il
loro, l’ultimo modello, così preciso e potente da vedere le mosche sulle orecchie
dell’orso.
I lupi grigi sono tornati nel Parco di Yellowstone, reintrodotti dopo decenni che
mancavano. I ranger, che sono proprio come nei film, invitano a segnalarli e
premiano i bambini che li avvistano con una stella di latta e un attestato. Immagino
sia una sorta di censimento per valutare lo stato di salute, il loro habitat e la
riproduzione, ma anche solo per sensibilizzare l’importanza che questo splendido
animale ha sull’ecosistema del Parco.


Purtroppo noi non abbiamo avvistato nessun lupo e nemmeno intravisto il timido
puma, detto anche leone di montagna, animale simbolo negli Usa e… per Apple.
Abbiamo comunque avuto la fortuna di vedere molti altri animali, oltre agli orsi e ai
bufali, teneri bambi e giganteschi alci con palchi di velluto, solitari coyote e
ovviamente, ma più che altro fortunatamente, mentre facevamo birdwatching in
Arizona pure un simpatico Roadrunner, che non è vero faccia beep beep, ma di certo
ci ha sorpassati come una freccia.

Abbiamo ammirato decine di bighorn sgambettare
sicuri su scoscesi pendii nel Montana, sonnacchiosi alligatori attraversare la strada,
da un fossato all’altro in Florida, balene e megattere respirare al largo di Gloucester,
centinaia di timorosi cani della prateria andare su e giù dalle loro tane in North
Dakota, e poi ancora un crotalo, arrotolato sotto un Joshua tree in California, agitare
il suo sonaglio, paralizzandoci dalla terrore appena scesi dall’auto per una foto, e
infine le maestose aquile dalla testa bianca, simbolo degli Stati Uniti, fluttuare ad ali
spiegate negli infiniti cieli della penisola di Kenai, in Alaska. Ricordo che il loro
stridio si confondeva con lo sferragliare del treno giallo e blu che, sulla sinistra della
strada, trasporta passeggeri e merci fino a Seward. Quel giorno il cielo era plumbeo,
pioveva e l’oceano era minaccioso, tanto che avevano sospeso tutte le escursioni in
mare. Noi avevamo prenotato una crociera di un giorno fra i fiordi del Kenai, fra
ghiacciai, leoni marini e simpatici uccelli pulcinella, e alla fine ci siamo consolati
gustando in un ristorante affacciato sul porto un trancio di halibut, il re di questi mari,
e le migliori patatine fritte mai assaggiate. Quando verso sera siamo arrivati in
aeroporto ad Anchorage, il sole era riuscito a squarciare le nuvole e lo spettacolo
intorno era magnifico. Le grigie montagne, perennemente zebrate di neve, erano
meno spettrali così illuminate, ma l’emozione più bella e indimenticabile è stata
quando, prima di salire sull’aereo che ci avrebbe riportato a Seattle, ho
realizzato che erano le undici di sera e il sole era ancora in cielo
. Avrei voluto
restare e stupirmi del sole a mezzanotte, ma sono riuscita a vederne il chiarore dal
finestrino dell’aereo.

Davanti a noi c’era la notte, dietro il rossore delle lunghe
giornate d’estate in Alaska, quando il sole non tramonta. Poi mi sono addormentata
sfinita da tanta bellezza ed eccitazione
, e anche dalla stanchezza, diciamolo, e quando
mi sono svegliata dal finestrino vedevo solo il cielo buio, davanti e dietro di me era
notte fonda. Stavamo per atterrare a Seattle e pioveva ancora, come alla partenza. A
Seattle piove sempre.

Aloha Hawaii


Un altro fenomeno naturale che mi ha affascinato sono stati gli arcobaleni a Oahu,
l’isola che abbiamo scelto di visitare alle Hawaii.
Se ne possono vedere anche due o
tre a colorare il cielo mentre si viaggia sulla strada che attraversa l’isola, da nord a
sud, fra la terra rossa coltivata ad ananas dalla Dole.

Erano così nitidi, perfetti, che
riuscivi a vedere, in quella piatta radura, dove nascono e dove toccano terra. Dovevi
fermarti a guardali, fotografarli, stupirti. Si formano per l’incontro della pioggerellina
che gonfia le frequenti nuvole sulle alte montagne, all’interno dell’isola, e il sole che
invece splende sulle meravigliose spiagge sferzate dal vento. Vento che soffia
sempre, che alza le onde dell’Oceano, per la gioia dei surfisti di tutto il mondo.

Ma Oahu è anche Pearl Harbor e lo scheletro della nave da guerra USS Arizona
adagiato sul fondo, ben visibile sotto acque trasparenti, a ricordare i morti
dell’attacco giapponese. L’isola è stata anche il set di molti film e serie.

Le montagne ricoperte di fitta vegetazione, l’umidità che produce una nebbiolina
misteriosa, immense radure dove potevano scorrazzare dinosauri e jeep impazzite,
non potevano che essere il set naturale di Jurassic Park. Invece le spiagge
meravigliose sono state scelte per Lost, mentre le strade tortuose e panoramiche del
litorale hanno fatto da pista alla rossa Ferrari di Magnum P.I

Continua…

FINE PRIMA PARTE.

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Welcome to Gringolandia. Viaggio a Miami

Viaggio di nozze in USA

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8 commenti

    • Ciao Mario, nella seconda parte ho scritto qualche “numero” sui miei viaggi. Comunque, la voce di spesa meno importante nel viaggiare on the road negli Usa è la benzina. Si vende a galloni, circa 3,8lt, e costa poco più di 2 euro, praticamente sui 0,60 al litro. Quando ho visto tutta l’America io, fino al 2014, ancora meno perchè il dollaro era molto vantaggioso, direi che rapportandola a oggi la media a viaggio sia stata di 300€ per 8.000km. Noi abbiamo sempre noleggiato Suv perchè le ore che passi in macchina sono tante e l’auto diventa la tua seconda casa, quindi deve essere comodissima e sicura. Deve passare dalle lunghe strade americane, senza una buca, agli sterrati della Monument Valley o dei deserti, per cui meglio sceglierla adeguata alle esigenze. Il cambio è sempre automatico e ci sono sempre due posti ove mettere il bicchierone del caffè americano. Discorso aerei, a parte il volo a/r per New York, io ho sempre viaggiato con volo diretto Alitalia, costo medio 460/500€, e poi con American Airlines per i voli interni che, tranne per l’ultimo lunghissimo viaggio che ne sono occorsi sei per raggiungere Hawaii e Alaska, sono sempre stati due a/r da New York a Las Vegas, che è la città ideale dove iniziare e finire la visita dell’ovest, o a Denver quando siamo partiti dal Colorado fino al Montana. Se si prenotano dall’Italia in tempi ragionevoli si possono ottenere prezzi buoni.
      Infine, per quanto riguarda i Geyser, Yellowstone ne è pieno, mentre viaggi o cammini sulle passerelle puoi vederne qualcuno eruttare, caldissimo, ma il più famoso è il Old Faitfull, vecchio fedele, chiamato così perchè è l’unico che si possa prevedere l’altissimo sbuffo, approssimativamente ogni 60/90 minuti. Accanto al Geyser c’è una bellissima costruzione in legno, albergo e punto di ristoro, e un cartello dove è indicata la prossima fuoriuscita di acqua e vapore. I visitatori possono cosi sapere, più o meno, quando trovarsi lì per godere l’eruzione. Anche io l’ho vista, in ritardo di dieci minuti sul cartello, prima un piccolo sbuffo, poi altri sempre più ravvicinati, poi sempre più alti fino allo sbuffo finale altissimo e potente. Uno spettacolo naturale che lascia a bocca aperta.

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    • Grazie, Kikkakonekka, l’ho acquistata al secondo viaggio negli States. Ogni volta che ci si fermava per la benzina, e conviene fermarsi sempre per il pieno a metà serbatoio, nei deserti anche a tre quarti, per via delle enormi distanze, c’era sempre accanto alle pompe un posto di ristoro. Per me era sempre una festa, oltre all’immancabile caffè americano, ci sono dolci assurdi e fintissimi, provati tutti, che allietano le lunghe ore in macchina: stringhe di liquirizia rosse e verdi, tranne nere 😬, biscotti pesanti come sassi, carne di Angus secca (questa è buonissima) da sgranocchiare mentre guidi, pannocchie e arachidi bollite al sud, cose inutili e bagni pulitissimi. La mia lavagna con la cartina americana, dove mettere i magneti che sono di una marca particolare, l’ho presa in Arizona, sfidando la misura delle valigie dove sistemarla. Ricordo che ci siamo fermati a sera, sfiniti e felici dei soliti 700km di bellezze, alle spalle, alla fine di una strada deserta, un tramonto che striava di fuoco il cielo. Indimenticabile quel pieno di benzina. E così, in ogni stato che visitavamo, cercavo il mio tassello calamitato da mettere sulla lavagna appena tornati a casa. A volte ho fatto pazzie per trovarla, ma quando il puzzle è stato completato, ammetto che la soddisfazione ha lasciato subito il passo alla nostalgia.

      Piace a 2 people

    • Grazie, Bug. New York è la più bella città del mondo, per me. Ho scritto di lei nella seconda parte, poche parole, anche se sarebbe servito un intero capitolo, ma ho già scritto tanto, tantissimo. Comunque, se vuoi sapere qualcosa di particolare chiedi pure.

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